Rinnovabili, Elettricità futura si appella alle Regioni mentre avanzano i ricorsi sulle Aree idonee
Il decreto Aree idonee approvato dal Governo Meloni è arrivato con 930 giorni di ritardo, anni d’attesa ormai buttati, perché il testo demanda tutto alle Regioni che entro l’anno sono chiamate a definire i criteri necessari a individuare le aree idonee per l’installazione di impianti rinnovabili.
Ma il destino del decreto appare incerto. Elettricità futura, l’associazione confindustriale che rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale, afferma che il provvedimento «presenta evidenti profili di illegittimità, alcuni di immediato rilievo – violando i principi (anche sovranazionali) di tutela dell’affidamento, di certezza del diritto, di massima diffusione delle fonti rinnovabili e il principio di “limitazione al minimo necessario delle zone di esclusione in cui non può essere sviluppata l’energia rinnovabile” (come previsto dalla recente Raccomandazione della Commissione Ue 2024/1343) – altri di rilevanza potenziale in quanto dipendono dal contenuto delle leggi regionali di attuazione che dovranno essere adottate entro dicembre 2024».
Per questo Elettricità futura informa oggi di essere intervenuta ad adiuvandum nei ricorsi già proposti dalle imprese avverso il decreto Aree idonee, che il 5 settembre sono stati discussi in sede cautelare «ai fini della sospensione del decreto stesso».
Un contesto infuocato, nel quale l’associazione confindustriale si appella alle Regioni per inserire almeno due previsioni nelle leggi regionali, in modo da limitare il numero di ricorsi contro il decreto Aree idonee e le Regioni stesse.
In particolare, per Elettricità futura è di fondamentale importanza che nella nuova definizione delle aree idonee di competenza delle Regioni siano fatti salvi i progetti che dal 2021 ad oggi sono stati localizzati nelle aree definite idonee ai sensi del decreto che ha attuato la Red II (aree idonee ex lege, art. 20 comma 8 d.lgs. 199/2021). Inoltre, in merito al regime transitorio, le Regioni, in coerenza con quanto fatto dal Governo con l'art. 5 del decreto Agricoltura (D.L. 63/2024), dovrebbero prevedere che le nuove disposizioni non si applichino ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore della legge regionale, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative necessarie ad ottenere l’autorizzazione a realizzare l’impianto.
«Se nelle leggi regionali non venissero previste almeno queste due misure, diventerebbe praticamente impossibile realizzare nuovi impianti», sottolinea l’associazione confindustriale. Un immobilismo che pesa duramente sulle bollette italiane: in Italia al caldo record di agosto si è abbinato un aumento di quasi il 15% del prezzo dell’energia elettrica (Pun medio) rispetto al mese di luglio.
È il consueto ricatto del gas fossile: l’Italia è il Paese europeo che più fa ricorso al gas per produrre energia elettrica, un combustibile che per il 96% importiamo dall’estero. Siamo quindi i più esposti in Europa alla volatilità del prezzo del gas che dipende da equilibri geopolitici fuori dal nostro controllo, come la guerra della Russia contro l’Ucraina e il conflitto in Medio Oriente.
Per questo Elettricità futura sottolinea l’urgenza di aumentare la produzione nazionale di energia elettrica, di farlo attraverso l’installazione delle tecnologie che producono elettricità al minor costo – ovvero gli impianti rinnovabili, e che utilizzano risorse nazionali (acqua, sole, vento, biomasse), e la diffusione dei sistemi di accumulo –, ed eliminare le barriere normative che frenano lo sviluppo delle rinnovabili e ne fanno aumentare i costi di realizzazione.
«La possibilità di farlo dipende adesso dalle Regioni perché, con il decreto Aree idonee – sottolinea Re Rebaudengo, presidente Elettricità futura – il Governo ha demandato a livello regionale la totale discrezionalità nell’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile. Le Regioni hanno una responsabilità enorme di fronte al Paese: utilizzare questa delega in bianco per permettere di installare gli impianti rinnovabili necessari a ridurre i prezzi dell’elettricità, a rendere l’Italia più sicura e competitiva e a rispettare gli obiettivi al 2030 sottoscritti a livello nazionale, europeo e mondiale».
Ad oggi invece i costi per gli operatori che producono elettricità in Italia sono più elevati rispetto agli altri Paesi europei, a causa dei costi dei terreni e di sviluppo dei progetti (che incidono per oltre il 40% sul costo di realizzazione di un impianto fotovoltaico di grande taglia), dei maggiori oneri burocratici e della lunghezza degli iter autorizzativi. Il peso della burocrazia e la forte dipendenza dal gas concorrono poi a fare aumentare i costi: questi fattori andrebbero considerati quando si mettono a paragone i prezzi dell’elettricità in Italia rispetto agli altri Paesi europei.
Ma a pesare in modo determinante sul costo delle bollette è anche lo stesso meccanismo che porta a formare il prezzo dell’energia. Il Prezzo unico nazionale (Pun) dell’energia elettrica, che fa da prezzo di riferimento per il costo delle bollette, si forma sul Mercato del giorno prima (Mgp) della Borsa elettrica, che a sua volta funziona secondo il criterio del prezzo marginale.
Individuate le necessità della domanda elettrica per un determinato giorno, ogni produttore indica quanta elettricità può offrire, ed entrano nel pacchetto le offerte più economiche necessarie per arrivare a coprire la domanda. Il nodo del problema sta nel fatto che tutti gli impianti vengono però remunerati al prezzo dell’impianto più costoso tra quello selezionati nel Mgp. Nel caso italiano, l’impianto più costoso è in genere alimentato a gas.
Nel corso degli ultimi anni sono state proposte più riforme del mercato elettrico per superare l’impasse, ma è ancora presto per valutare gli effetti di quella approvata dal Consiglio Ue a inizio estate puntando forte sui contratti per differenza a due vie.
Il problema di fondo resta comunque la dipendenza dal gas, come confermato poche settimane fa anche dall'associazione confindustriale Anie rinnovabili. Il nodo centrale resta dunque quello di aumentare la penetrazione delle energie rinnovabili, sulla quale l’Italia si conferma in grande ritardo: per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 servirebbero circa +12 GW di impianti l’anno, mentre continuando al ritmo attuale anche il 2024 si chiuderà con appena +7,3 GW.