In Sicilia torna la pioggia, ed è un problema nuovo
In Sicilia oltre 2 milioni di cittadini sono senz’acqua, quasi la metà della popolazione isolana: lo stato regionale di calamità naturale per siccità è stato dichiarato ormai a febbraio, quello d’emergenza nazionale a maggio (con la richiesta della Regione al Governo Meloni di 590 mln di euro, mai arrivati), e le piogge settembrine non hanno minimante scalfito le difficoltà dell’isola nonostante le precipitazioni siano state mediamente nella norma.
«Ciò è dovuto al fatto che il peso relativo di queste piogge sui totali annuali risulta piuttosto limitato, mentre i totali cumulati di pioggia a medio e lungo termine soffrono ancora di un pesante deficit accumulato fin dall'autunno 2023, che richiederebbe accumuli notevolmente superiori alle medie per essere colmato – spiegano dal Servizio informativo agrometeorologico siciliano (Sias) – Le piogge attese a partire da venerdì 18 ottobre risultano importanti per la possibilità che un quadro in progressivo peggioramento veda finalmente un'inversione di tendenza attesa da tutti i settori che dipendono dall'acqua».
Ma assieme alla speranza si affacciano nuovi allarmi, come conferma la stessa Sias: «La formazione di una circolazione depressionaria promette per diversi giorni rovesci e temporali, anche molto intensi, su tutta l'isola. Vista l'incertezza dell'evoluzione della fase perturbata, che rende bassa l'affidabilità delle attuali previsioni anche a 48 ore, raccomandiamo di seguire gli aggiornamenti nonché di seguire gli avvisi di Protezione civile».
«Il vortice si sta spostando verso sud, lungo il suo lato orientale si attiveranno temporali forti e piogge anche abbondanti – conferma il meteorologo di Cnr e Lamma, Giulio Betti – Nel pomeriggio di oggi peggiorerà al centro-sud, mentre i fenomeni diventeranno più sparsi e intermittenti al Nord e sulla Toscana. Particolarmente esposte, dal pomeriggio-sera, Sicilia occidentale, Salento e Calabria ionica».
È la doppia faccia della crisi climatica in corso, dove le emissioni di gas serra legate all’utilizzo di combustibili fossili portano con sé un aumento in frequenza ed intensità di eventi meteo estremi, che si tratti di alluvioni o di siccità. Un contesto aggravato dall’assenza di adeguate infrastrutture idriche, di cui la Sicilia è purtroppo un grande esempio.
«Se l'attualità richiama attenzione alla nuova emergenza idrogeologica, che colpisce il nord-ovest d'Italia, nel Mezzogiorno la siccità sta pregiudicando il tessuto sociale ed economico dei territori», osserva Francesco Vincenzi, presidente dell’associazione nazionale che riunisce i Consorzi di bonifica (Anbi), nel presentare i nuovi dati dell’Osservatorio sulle risorse idriche.
Tali dati mostrano infatti come in Sicilia le residue riserve idriche (meno di 181 milioni di metri cubi, cioè circa il 25% dei volumi invasabili, ma di cui sono utilizzabili solo 55 milioni), vadano esaurendosi più rapidamente di quanto previsto, nonostante i provvedimenti, che limitano le erogazioni.
«I paesaggi dell'entroterra siciliano stanno assumendo caratteristiche tipiche dell'Africa settentrionale con terreni brulli e polverosi a rimpiazzare pascoli e colture foraggere – argomenta l’Anbi – I frutteti ormai rinsecchiti sono abbandonati in quello, che rischia di diventare un deserto anche economico: estati sempre più calde, aride (a Giugno e Luglio il deficit pluviometrico sull'Isola ha superato l'80%) e prolungate (ancora la scorsa settimana si sono sfiorati i 30 gradi), accompagnate da inverni miti e secchi (gennaio e marzo 2024 hanno registrato rispettivamente il 63% ed il 42% di pioggia in meno rispetto alla media) hanno non solo prosciugato gli acquiferi, ma compromesso la fertilità e la stabilità dei suoli». Così le annunciate piogge diventano una minaccia concreta a causa delle fredde correnti artiche, che andranno a scontrarsi con i venti caldi di scirocco su un mar Mediterraneo, dove la temperatura dell'acqua si aggira ancora tra i 23 ed i 25 gradi: «Una combinazione di elementi che potrebbe generare fenomeni estremi», certifica l’Anbi.
«Quanto tempo e quanta pioggia ci vorrà – commenta il dg Anbi, Massimo Gargano – affinché i grandi bacini meridionali possano ricaricarsi e tornare ad assolvere al loro compito essenziale per la vita e l'economia del Mezzogiorno? Nel 2025 dovremo assistere alla stessa, sconfortante condizione fatta di turnazioni, limitazioni, interruzioni e provvedimenti emergenziali nella gestione dell'acqua?».
La risposta dovrebbe passare dalla legge di Bilancio, per riportare il finanziamento delle infrastrutture idriche all’interno del bilancio statale – servirebbero circa 10 mld di euro in più all’anno rispetto all’attuale spesa totale del Paese sul fronte idrico –, ma il Governo Meloni la sta approntando senza alcun programma in proposito. Né facilita l’installazione di impianti rinnovabili per sostituire i combustibili fossili, semmai il contrario.
Eppure una prima proposta di Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica per affrontare la doppia minaccia di siccità e alluvioni, c’è già: l’ha elaborata la Fondazione Earth and water agenda, arrivando a stimare la necessità di investimenti da 17,7 mld di euro l’anno per un decennio, dalle soluzioni basate sulla natura agli invasi, dal servizio idrico integrato agli usi agricoli e industriali dell’oro blu.