Siccità in Sicilia, al via la Struttura tecnica nazionale in attesa di un piano d’interventi
A quattro mesi da quando la Sicilia ha chiesto al Governo Meloni di dichiarare l’emergenza nazionale per la siccità che affligge l’isola – insieme a fondi da 590 mln di euro per affrontarla, ma ne sono stati stanziati 20 –, la presidenza del Consiglio ha istituito la Struttura tecnica per il coordinamento degli interventi sulla crisi idrica nella Regione Siciliana.
È il nuovo capo dipartimento della Protezione civile, Fabio Ciciliano, a coordinare la struttura composta anche dal Commissario straordinario nazionale per la gestione della crisi idrica (Nicola Dell’Acqua), dal Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti finalizzati alla gestione della crisi idrica in Sicilia (il governatore Renato Schifani) e dall’Arera.
«La struttura tecnica – spiega la Protezione civile – avrà lo scopo di definire gli interventi prioritari (da svolgersi anche in stralci o lotti funzionali sulla base della disponibilità delle risorse economiche), di monitorare lo stato di avanzamento degli interventi concernenti l’attuazione procedurale (determine, bandi, gare, contratti), il monitoraggio delle fasi di realizzazione (stato di avanzamento dei progetti), gli aspetti di ordine finanziario (trasferimenti effettuati alle contabilità speciali, da queste ai soggetti attuatori, impegni di spesa e spese sostenute)».
In un contesto che vede già la Sicilia in crisi totale per siccità, che fare? La Regione «dovrebbe puntare ad assumere un ruolo di leader mediterraneo nella sfida all’aridità e alla siccità che il cambiamento climatico sta determinando. Questo dovrebbe voler dire puntare e investire su nuove tecnologie e nuovi progetti di sostenibilità idrica e su una drastica riattivazione dei bacini idrici e di ammodernamento e efficientamento delle reti di distribuzione idrica», dichiara Marco Sandrucci, a capo del dipartimento Ambiente & geologia della società d’ingegneria Proger oltre che coordinatore del gruppo di lavoro Sostenibilità idrica di Assoreca: «Andrebbe concretizzato nello sviluppo di un Piano regionale (o di più piani territoriali) di adattamento delle tecnologie e pratiche di conservazione».
Basti osservare, ad esempio, che il fabbisogno annuo di acqua indicato dalla Regione per l’intera Sicilia ammonta a 1,75 mld di mc l’anno, e sull’isola sono piovuti nel 2023 circa 15,2 mld di mc d’acqua; oltre la metà è indisponibile in partenza perché soggetta a evapotraspirazione, e molta altra ne occorre per soddisfare i fabbisogni ecosistemici, ma ne resterebbe in abbondanza per soddisfare anche quelli antropici, se la Sicilia si dotasse delle infrastrutture idriche necessarie (da quelle basate sulla natura, come le città spugna, agli invasi) e rattoppasse gli acquedotti colabrodo. Invece su 26 grandi dighe controllate dalla regione, a oggi 3 risultano fuori esercizio, 5 con limitazioni per ragioni di sicurezza e 10 in attesa di collaudo. Un contesto cui si abbina, tra gli altri, quello degli acquedotti ridotti a colabrodo – e non solo in Sicilia, dato che in Italia si perdono per strada circa 7,6 mld di mc d’acqua all’anno.
«Questa situazione di forte degrado delle reti idriche, in gran parte dovuto all’età di queste e al relativamente ridotto livello di manutenzione – osserva Sandrucci –, necessita lo sviluppo di piani di intervento sistematici e integrati utilizzando tutte le nuove opportunità offerte dal progresso tecnologico. Sarebbe importante dare seguito a progetti di captazione e stoccaggio delle acque piovane per accumulare l'acqua durante i periodi di pioggia e renderla disponibile durante i periodi di siccità. A questi si dovrebbero inoltre affiancare ulteriori progetti destinati al recupero di acque reflue ed iniziative per il riutilizzo delle acque grigie, soprattutto in ambito urbano e agricolo. La formazione di un sistema sostenibile e resiliente (la pluralità delle fonti consente di minimizzarne la criticità di una) in grado di integrare e/o sopperire alle situazioni di siccità sempre più frequenti e prolungate».
Nonostante i ricorrenti e crescenti rischi legati alla siccità in tempo di crisi climatica, invece, a livello nazionale appena il 4% delle acque già depurate viene riutilizzata (essenzialmente in agricoltura), nonostante il 23% del volume totale depurato raggiunga già la qualità necessaria al riutilizzo; a frenarne l’impiego sono la carenza d’infrastrutture per la distribuzione e il costo maggiore d’impiego rispetto all’acqua proveniente da prelievi tradizionali.
Pur sporadici, casi studio virtuosi ci sono già. Sul tema Sandrucci porta ad esempio il progetto pilota avviato in Piemonte con Proger per il primo comparto territoriale in Italia ad elevata sostenibilità idrica, volto a realizzare uno standard operativo applicabile in ogni territorio del Paese: «Le soluzioni del progetto sono modulari (quindi scalabili) e diversamente aggregabili (quindi replicabili in contesti socioeconomici e territoriali tra loro diversi». Propone quattro diverse tipologie di intervento che mirano a ricaricare la falda, ottimizzare il ciclo idrico del Polo industriale, realizzare invasi sfruttando le opportunità offerte dal territorio e recuperare le acque di depurazione.
Allargando il quadro dell’analisi, una prima proposta di Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica per affrontare la doppia minaccia di siccità e alluvioni, c’è già: l’ha elaborata la Fondazione Earth and water agenda – nell’ambito del rapporto Water intelligence promosso proprio da Proger – arrivando a stimare la necessità di investimenti da 17,7 mld di euro l’anno per un decennio, dalle soluzioni basate sulla natura agli invasi, dal servizio idrico integrato agli usi agricoli e industriali dell’oro blu.