Siccità? La rete idrica italiana perde 7,6 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno
Il costo della siccità in Italia è in costante crescita, dopo oltre 30 miliardi di euro in danni già cumulati negli ultimi vent’anni, eppure l’acqua – e che sarebbe sufficiente per soddisfare pienamente tutti gli impieghi, se correttamente gestita – viene massicciamente sprecata.
«Oltre il 60% della rete idrica ha più di 30 anni, il 25% più di 50 anni: su 34,2 miliardi di m3 prelevati ne arrivano a destinazione solo 26,6 (77%). La nostra rete perde 7,6 miliardi di m3 all’anno (23%)», spiega Marco Lombardi, ad di Proger e presidente dell’Osservatorio che ha presentato ieri nella sede romana di Confagricoltura il rapporto Water intelligence, realizzato a cura della Fondazione Earth and water agenda (Ewa).
«Forti piogge al nord ed estrema siccità al sud, la situazione attuale riflette perfettamente l’emergenza e soprattutto la carenza di infrastrutture e di progettazione. In Italia – argomenta Lombardi – l’acqua non manca ma non arriva a destinazione perché la rete idrica infrastrutturale non è adeguata e si sono accumulate carenze di investimenti in tecnologia applicata ai servizi idrici. C’è tantissimo “know-how” ma pochissima cultura: la cultura si riflette nei comportamenti, nelle scelte consapevoli e nelle azioni quotidiane, nella Politica di un Paese. Serve una gestione più sostenibile anche grazie alle reti neurali e l’Artificial intelligence, attraverso consumi inferiori e meno sprechi. Questa carenza dovrebbe figurare tra le massime priorità sia della politica, sia delle imprese. Necessitiamo di una sensibilità sociale nei confronti delle risorse idriche, manca la visione, non si può intervenire sull’emergenza bisogna pianificare un piano strutturale a 10 anni per tutelare questa preziosa risorsa».
Non a caso, è quanto propone il rapporto Water intelligence, indicando necessità di investimenti da 17,7 mld di euro all’anno per un decennio: 13,8 miliardi dovrebbero andare alla gestione dell’acqua, tra cui 7 miliardi per il servizio idrico integrato, 1,8 miliardi per 20 nuove dighe 5mila piccoli e medi invasi, 1 miliardo per il disinterramento delle dighe, 1 miliardo per l’aumento della produzione idroelettrica, 3,85 miliardi agli interventi contro il dissesto idrogeologico, 2,5 miliardi per le misure per la difesa del territorio, 1,5 miliardi per rafforzare tecnologie, monitoraggi e ricerca.
Investire in prevenzione, del resto, conviene. Ed è fondamentale per continuare ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni primari della cittadinanza, a partire dall’accesso al cibo.
«Il cambiamento climatico incide su più fronti – riflette nel merito Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura – sta stravolgendo i ritmi della coltivazione, rendendo necessaria una ridefinizione della mappa del cibo a livello globale, ma causa anche effetti importanti sulle coltivazioni, con eccesso o penuria di acqua e conseguenti ricadute sulla produzione e sulla filiera, fino a incidere sui prezzi finali al consumatore. La gestione dell’acqua è pertanto un tema nevralgico per le imprese agricole. In questo senso vengono in aiuto le nuove tecnologie, la scienza e la ricerca, ad esempio attraverso le tecniche di evoluzione assistita per rendere le piante resistenti agli effetti del cambiamento climatico: su questo dobbiamo investire, affinché non manchi mai il cibo dalla natura».
In attesa di un effettivo Piano nazionale integrato per la sicurezza idrica e idrogeologica, i territori italiani più lungimiranti iniziano già ad attrezzarsi per conto proprio.
Proger, società di ingegneria impegnata da anni per la divulgazione e diffusione di una cultura del settore, sviluppa non a caso progetti di ricerca come le “Linee guida per la creazione di un Comparto territoriale ad alta sostenibilità idrica”, realizzate nell’ambito di Assoreca, associazione che rappresenta le maggiori società di ingegneria ambientale in Italia: un nuovo modello “sinergico” per la gestione efficiente della risorsa idrica in corso di sperimentazione in provincia di Novara, in collaborazione con la Regione Piemonte.
Più nel dettaglio, il progetto pilota ha l’obiettivo di realizzare uno standard operativo applicabile in ogni territorio e per svilupparlo è stata selezionata la zona di Trecate e Cerano, perché concentra in un’area contenuta ogni tipo di esigenza rispetto al settore idrico: industriale, civile, agricolo e zootecnico.
L’obiettivo è gestire la risorsa acqua in modo circolare ed efficiente mediante un utilizzo multiplo e sinergico, che ne massimizzi l’uso “in cascata” invece della competizione tra le diverse tipologie di fruizione.
Per farlo, il progetto pilota propone quattro diverse tipologie di intervento che mirano a: ricaricare la falda, ottimizzare il ciclo idrico del polo industriale, realizzare invasi sfruttando le opportunità offerte dal territorio, recuperare le acque di depurazione. Un modello che nasce in Italia e mira a diventare uno standard applicabile ovunque nel mondo.