
Servizio idrico, nel 2025 investimenti a 80 euro procapite. Ma le utility guardano già al post Pnrr

Prosegue la crescita degli investimenti sul servizio idrico integrato italiano, che sta rispondendo alla doppia sfida – con l’alternarsi di siccità e alluvioni – posta dalla crisi climatica in corso: il nuovo Blue book realizzato da Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia, presentato stamani a Roma nella sede del Cnel, mostra che si è raggiunta la soglia dei 65 euro procapite nel 2023, stimati in ascesa a 72€ nel 2024 e 80€ nell’anno in corso, a un passo dalla media europea dell’ultimo quinquennio (82€ procapite, anche se i Paesi più avanzati superano i 100€).
I divari di performance restano però molto elevati lungo lo Stivale. Si va dall’esempio della Toscana, che nel 2023 con 107,8€ procapite mostra il dato migliore d’Italia, ai livelli ancora molto bassi per le gestioni “in economia”, dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico: nel 2023 gli investimenti medi si sono attestati a livello nazionale sui 29 euro per abitante, rispetto ai 65 euro dei gestori industriali. Al contrario, dal 2021 al 2023, i gestori industriali – che nel campione analizzato coprono circa il 66% della popolazione italiana – hanno realizzato investimenti per circa 7,1 miliardi di euro, cifra che sale a 13,2 miliardi se si considerano gli interventi programmati per il biennio 2024-2025.
Ad esempio, nelle regioni del Nord e del Centro si registra un investimento medio pro capite che varia tra i 63 e i 73 euro, dato che al Sud scende fino a 32 euro (sia pur in presenza di gestori che registrano performance paragonabili alle migliori esperienze nazionali) con previsioni di recupero fino a 58 euro entro il 2025 grazie anche agli interventi finanziati dal Pnrr. Al contempo l’analisi per classe di fatturato rivela che i gestori con fatturato inferiore a 25 milioni di euro investono mediamente 44 euro per abitante, mentre quelli di maggiori dimensioni superano i 68 euro. Di rilievo è la performance delle gestioni di media taglia (fatturato tra 25 e 50 milioni di euro), che si attestano a 64 euro per abitante, dimostrando come anche gli operatori intermedi, grazie a una maggiore flessibilità gestionale, possano mobilitare capitali rilevanti.
Un ulteriore elemento di rilievo è rappresentato dai fondi pubblici e contributi (FP&C), che per il periodo 2021-2023 hanno raggiunto circa 2,4 miliardi di euro, cifra destinata a crescere a 5,1 miliardi includendo il periodo 2024-2025.
«Questi strumenti – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – hanno certamente contribuito all’accelerata degli ultimi anni. Ma ragionando in un’ottica futura che vada al di là dell’orizzonte temporale del 2026 e quindi del Pnrr, alle risorse derivanti dalla tariffa andrebbe affiancata anche una quota di contributo pubblico di almeno 1 miliardo di euro l’anno per i prossimi 10 anni, per portare avanti un piano straordinario di interventi volti ad assicurare la tutela della risorsa e del territorio, nonché garantire la continuità del servizio anche in periodi di stress climatici sempre più frequenti e adeguare gli impianti di depurazione secondo quanto disposto dalla direttiva sulle acque reflue».
Si tratta di un’esigenza già emersa con forza lo scorso autunno, durante il Festival dell’acqua organizzato a Firenze proprio da Utilitalia. Il valore degli investimenti sul servizio idrico integrato sostenuti dalla tariffa ammonta a circa 4 mld di euro/anno, cui fino al 2026 si aggiungono 1,1 mld€/a dal Pnrr, ma il fabbisogno del comparto arriva almeno a 6 mld€/a. Servirebbero dunque risorse aggiuntive pari a circa 0,9 miliardi di euro l’anno fino al 2026, e pari ad almeno 2 miliardi di euro l’anno dopo la chiusura del Pnrr. Il miliardo aggiuntivo chiesto da Utilitalia sarebbe dunque la soglia minima.
In attesa dello Stato, i gestori del servizio idrico hanno comunque traguardato progressi notevoli a partire dall’avvio della regolazione Arera (2012), con l’impulso più rilevante registrato dal 2017-18 grazie all’introduzione della regolazione della qualità tecnica del servizio (Rqti – del. 917/2017/Idr Arera): la serie storica degli investimenti, analizzata su un campione di 38 operatori, testimonia un miglioramento progressivo della spesa pro capite, con un incremento complessivo del +99% tra il 2012e il 2023.
«Questo studio – conclude la vicepresidente di Utilitalia, Barbara Marinali – testimonia una crescita importante degli investimenti nel settore idrico, che hanno registrato un’impennata importante dal 2021 ad oggi. Molto è stato fatto ma molto resta da fare: negli ultimi anni il cambiamento climatico ha comportato un’ulteriore riduzione della disponibilità della risorsa, aggravata da un deficit infrastrutturale che l’Italia sconta rispetto ad altri Paesi europei».
Serve dunque un Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica, di cui si parla sempre dopo ogni siccità o alluvione, per dimenticarsene subito dopo. Per affrontare la doppia minaccia di siccità e alluvioni, in base alla proposta elaborata dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) si parla di 17,7 mld di euro l’anno per un decennio. Già oggi spendiamo 7 mld di euro all’anno di risorse pubbliche e private (da tariffa) per la gestione di tutti gli aspetti idrici, mentre ne servirebbero 10 in più. Devono arrivare dai bilanci dello Stato, o continueremo a pagare i danni da eventi meteo estremi anziché investire per migliorare la qualità di vita dei cittadini.
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