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World weather attribution: «Dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili»

La crisi climatica in corso ha reso la siccità in Sicilia e Sardegna il 50% più probabile

«Limitare le perdite d'acqua dovute all'invecchiamento delle tubature e aumentare la capacità di stoccaggio contribuirà a ridurre simili carenze idriche negli anni di scarse precipitazioni»
 |  Acqua

Sicilia e Sardegna sono oggi l’emblema del rischio siccità che attraversa l’Italia – adesso concentrato al sud mentre nel 2021-22 si è abbattuto con altrettanta violenza sulle regioni del nord –, con la prima isola a dichiarare lo stato di calamità a febbraio e la seconda a luglio. Un rischio che dipende in modo diretto dalla crisi climatica in corso, causata dall’uso di combustibili fossili (gas, petrolio, carbone) per mano umana.

La conferma è arrivata adesso da un nuovo studio di World weather attribution, l’organizzazione più citata al mondo per questo tipo di studi, cui hanno partecipato 15 ricercatori tra cui scienziati di università e agenzie meteorologiche di Italia, Svezia, Stati Uniti, Regno Unito e Paesi Bassi.

«La Sardegna e la Sicilia stanno diventando sempre più aride a causa dei cambiamenti climatici – spiega Mariam Zachariah, dell’Imperial College di Londra – Il caldo torrido e prolungato colpisce le isole con maggiore frequenza, facendo evaporare l'acqua dai terreni, dalle piante e dai bacini idrici. Per gli agricoltori e le città che hanno sopportato mesi di restrizioni idriche, questo studio è una conferma: il cambiamento climatico sta intensificando la siccità».

Non solo: la crisi climatica causata dall'uomo ha reso la siccità il 50% più probabile in Sicilia e Sardegna, con conseguenti devastanti. Solo nel primo trimestre del 2024 il comparto agricolo del Mezzogiorno ha perso 4 miliardi di euro a causa della siccità, cancellando 33mila posti di lavoro.

In base al sistema di classificazione del monitoraggio della siccità degli Stati Uniti, le siccità su entrambe le isole sono classificate come “estreme”. Tuttavia, in un mondo più freddo di 1,3°C, senza cambiamenti climatici causati principalmente dalla combustione di combustibili fossili, sarebbero state meno intense e classificate come siccità “gravi”, secondo l'analisi. Se il mondo raggiungerà i 2°C di riscaldamento, cosa che potrebbe accadere già nel 2050, le siccità in Sardegna e Sicilia diventeranno ancora più intense e frequenti.

«In Sardegna, la siccità che ora classifichiamo come 'estrema' sarebbe stata classificata come 'grave' senza i cambiamenti climatici. Questo è ciò che dicono i risultati del nostro studio, inequivocabilmente – conferma Luigi Pasotti, dirigente responsabile al Servizio informativo agrometeorologico siciliano (Sias) – Ma ciò che è ancora più tragico è che se non smettiamo rapidamente di bruciare combustibili fossili, la frequenza e l'intensità di questo tipo di eventi estremi continuerà ad aumentare, con conseguenze inimmaginabili. In Sicilia, la siccità che oggi classifichiamo come “estrema” diventerà “eccezionale” se la temperatura globale aumenterà di soli 0,7°C. Per questo sarà fondamentale sviluppare strategie di adattamento per proteggere settori vitali per la Sicilia e la Sardegna, come l'agricoltura e il turismo, ma sarà altrettanto importante per l'Italia rispettare gli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni».

Gli ultimi dati aggiornati dalla Sias mostrano che in Sicilia nell’ultimo anno ha piovuto circa il 40% in meno di quanto atteso rispetto alla media del periodo 2003-2022 ma, provando a guardare il bicchiere mezzo pieno, è ancora possibile quanto necessario mettere in campo investimenti per raccogliere e distribuire l’acqua in modo più efficiente, in modo da soddisfare la domanda idrica dell’isola.

Basti osservare, ad esempio, che il fabbisogno annuo di acqua indicato dalla Regione per l’intera Sicilia ammonta a 1,75 mld di mc l’anno, e sull’isola sono piovuti nel 2023 circa 15,2 mld di mc d’acqua; oltre la metà è indisponibile in partenza perché soggetta a evapotraspirazione, e molta altra ne occorre per soddisfare i fabbisogni ecosistemici, ma ne resterebbe in abbondanza per soddisfare anche quelli antropici, se la Sicilia si dotasse delle infrastrutture idriche necessarie (da quelle basate sulla natura, come le città spugna, agli invasi) e rattoppasse gli acquedotti colabrodo. Invece su 26 grandi dighe controllate dalla regione, a oggi 3 risultano fuori esercizio, 5 con limitazioni per ragioni di sicurezza e 10 in attesa di collaudo. Un contesto cui si abbina, tra gli altri, quello degli acquedotti ridotti a colabrodo – e non solo in Sicilia, dato che in Italia si perdono per strada circa 7,6 mld di mc d’acqua all’anno.

«Non è chiaro – aggiungono gli stessi ricercatori del World weather attribution – se le precipitazioni altamente variabili di Sardegna e Sicilia siano influenzate dai cambiamenti climatici». Si alternano sempre più rapidamente anni e stagioni particolarmente umidi o secchi, ma l’ammontare medio di pioggia non sembra subire scostamenti ingestibili se ci fossero infrastrutture idriche adeguate sui territori. A incidere è soprattutto la crescita sostanziale dell'evapotraspirazione – ovvero l'evaporazione dell'acqua dal suolo e dalle piante –, che sta determinando l'aumento delle condizioni di siccità.

Allargando il quadro dell’analisi, una prima proposta di Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica per affrontare la doppia minaccia di siccità e alluvioni, c’è già: l’ha elaborata la Fondazione Earth and water agenda,  arrivando a stimare la necessità di investimenti da 17,7 mld di euro l’anno per un decennio, dalle soluzioni basate sulla natura agli invasi, dal servizio idrico integrato agli usi agricoli e industriali dell’oro blu. Mancano però le risorse, perché da tempo la gestione dell’acqua è uscita dai bilanci dello Stato per affidarsi sostanzialmente alla mera tariffa idrica.

«Limitare le perdite d'acqua dovute all'invecchiamento delle tubature e aumentare la capacità di stoccaggio in Sardegna e in Sicilia contribuirà a ridurre simili carenze idriche negli anni di scarse precipitazioni», sottolinea la ricercatrice Maja Vahlberg, climate risk consultant alla Red Cross Red Crescent climate centre.

In un simile contesto è dunque essenziale agire in contemporanea sul fronte della mitigazione oltre che su quello dell’adattamento, perché con un aumento delle temperature incontrollato neanche dighe efficienti o soluzioni basate sulla natura ci salveranno: «Per evitare che la siccità peggiori ulteriormente, dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili», sintetizza Friederike Otto dell’Imperial College di Londra.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.