Acqua futura, la transizione ecologica d’Italia passa dalla gestione dell’oro blu
La giornata centrale del Seminario estivo promosso dalla Fondazione Symbola a Mantova, che greenreport ha ospitato in diretta streaming, si è incentrata sulla risorsa verso la quale convergono gran parte delle sfide per portare avanti la transizione ecologica italiana: l’acqua.
«Per affrontare la siccità dovuta anche alla crisi climatica – spiega Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – servono politiche lungimiranti e misure di breve, medio e lungo periodo. La difesa dell’acqua va di pari passo con la costruzione di un’economia sostenibile e più a misura d’uomo come afferma il Manifesto di Assisi. Il tema dell’acqua chiama in causa molti soggetti: dalle utenze all’assetto del territorio evocando la necessità di nuove energie. Una sinergia che compatti i comuni interessi tra famiglie e imprese, tra industria e agricoltura, tra distribuzione e infrastruttura, tra enti locali e utility. È urgente fare rete per ottimizzare le reti idriche».
Cosa possiamo fare? Come ricordato in apertura da Riccardo Valentini, past president della Sisc e premio Nobel per la Pace insieme all’Ipcc per i suoi studi sulla crisi climatica, il cambiamento climatico «non si può invertire ma si può ancora stabilizzare entro i +2°C rispetto all’era pre-industriale», evitando gli impatti più gravi (anche) sull’acqua.
Per farlo occorre tagliare in modo rapido quanto deciso le emissioni di gas serra dovute al consumo di combustibili fossili; per fare i conti con quella quota parte di riscaldamento globale ormai inevitabile occorre invece lavorare sull’adattamento. Tenendo sempre ben presente un dato di fondo: in Italia a scarseggiare sono soprattutto le infrastrutture per la gestione dell’acqua, più che la risorsa in sé.
Lungo lo Stivale le precipitazioni annue valgono in media 296 mld mc l’anno, e secondo le stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) sulla base dei dati forniti dal modello Big-bang dell’Ispra, anche nel 2050 non saranno molto diverse rispetto a quelle del 1951: -4,4%.
Sottraendo dal valore delle precipitazioni quello dell’evapotraspirazione (in forte aumento a causa del riscaldamento globale) il dato si riduce a circa 140 mld mc/a, ovvero la disponibilità idrica, mentre i prelievi idrici per uso antropico si fermano a 34. Considerando anche i fabbisogni per la vita ecologica di fiumi e laghi ad oggi l’Italia vanta un surplus idrico stimato in 63,6 mld mc/a.
Si prevede che il dato della disponibilità idrica calerà molto nei prossimi decenni (fino a -40% nel 2100, già oggi diminuito di circa il 20% rispetto al 1921-1950) ma nel 2050 resteranno 35,5 mld mc/a di surplus. Perché allora le siccità colpiscono sempre più spesso il Paese?
«Il vero nodo è che l’acqua resta fuori dai bilanci pubblici dello Stato, gli investimenti pubblici valgono solo tra l’1 e il 2% della spesa pubblica nazionale mentre dovrebbero avere la stessa dignità degli altri sevizi a rete – spiega Erasmo D’Angelis (nella foto), presidente della Fondazione Earth and water agenda e direttore editoriale di greenreport – Serve un Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica, di cui si parla sempre dopo ogni siccità o alluvione, per dimenticarsene subito dopo. In Italia spendiamo 7 mld di euro all’anno di risorse pubbliche e private (da tariffa, ndr) per la gestione di tutti gli aspetti idrici, mentre ne servirebbero 10 in più. Il Pniissi elaborato dal ministero delle Infrastrutture ha individuato opere per oltre 13 mld di euro, ma i fondi per finanziarli non sono stati trovati; in compenso una cifra simile è stata destinata in legge di Bilancio al ponte sullo Stretto di Messina».
Una scelta quantomeno curiosa, dato che la Sicilia sta subendo una siccità drammatica senza avere le infrastrutture per farvi fronte: «La Sicilia ha un cumulato di precipitazioni di 15 mld mc d’acqua l’anno e un fabbisogno di 1,7 – ricorda nel merito D’Angelis – con 26 dighe controllate dalla Regione: 10 sono fuori uso, 4 in attesa di collaudo da decenni, 5 aperte, tutte sono pieni di sedimenti che riducono la possibilità d’invasare acqua». Come risultato, ecco la siccità.
Per mettere al riparo il Paese dalle crisi idriche – che si tratti di siccità o di alluvioni, le due facce della crisi climatica – le «soluzioni ci sono, l’Italia deve riprendere quella capacità d’investimento che nei decenni scorsi ha portato a realizzare e manutenere 220mila km di canali artificiali dove oggi scorre acqua. La legge contro il consumo di suolo deve andare avanti in Parlamento, e anche quello culturale resta un fattore fondamentale dato che l’Italia è il primo Paese d’Europa per consumi procapite d’acqua».
«Non bastano dighe e casse d’espansione, di fronte a un problema complesso servono soluzioni molteplici – aggiunge Alessandro Bratti, Segretario generale dell’Autorità distrettuale del Fiume Po – Tutelare la biodiversità significa anche difendere la sicurezza del territorio, attraverso opere di rinaturalizzazione e soluzioni basate sulla natura».
«Si parla di emergenza acqua, le cui cause sono lo spreco, l’inquinamento, la siccità, la crescita della popolazione e l’aumento dei consumi – conclude Massimiliano Ghizzi, presidente della multiutility Gruppo Tea che ha promosso il panel con la Fondazione Symbola – È tempo di agire subito, in maniera sinergica, per dare risposte efficaci, anche alla luce degli ultimi eventi legati al cambiamento climatico che, in un Paese come il nostro, caratterizzato da dissesto idrogeologico diffuso, producono spesso effetti ancora più devastanti. Durante l’incontro di oggi abbiamo lanciato una proposta condivisa dai vari attori, con azioni sinergiche da realizzare sul ciclo idrogeologico e sulla disponibilità di risorsa idrica, muovendo diverse leve: investimenti, riuso, efficienza e continuità del servizio. Fondamentale, inoltre, la diffusione di una cultura dell’acqua: la proposta è di sviluppare campagne nazionali finalizzate alla sensibilizzazione sul consumo di acqua per promuovere un uso consapevole della risorsa idrica, limitando gli sprechi e valorizzando la qualità dell’acqua distribuita attraverso gli acquedotti diffondendo la consapevolezza che può essere impiegata senza perplessità a scopo potabile e alimentare da tutti i cittadini».