Economia circolare, Legambiente Toscana contro le sindromi Nimby: servono impianti
Il Centro Pecci di Prato, Comune che da sempre ha il recupero degli scarti impresso nel Dna della filiera tessile, ha offerto oggi il palcoscenico perfetto per la IX edizione del Forum economia circolare di Legambiente Toscana, che arriva in un momento di svolta per l’intera regione: dopo un lungo iter legislativo iniziato nel 2021, il Piano regionale dell’economia circolare (Prec) è atteso al test dell’approvazione definitiva all’inizio del prossimo anno.
Il Forum ambientalista ha dato l’occasione per un confronto, molto partecipato, tra tutti i principali stakeholder: dalla società civile alle imprese d’eccellenza che già prosperano in Toscana, passando dai direttori di tutti e tre gli Ambiti territoriali ottimali (Ato) e ai presidenti e dg dei relativi gestori (Retiambiente sulla costa, Sei Toscana al sud e Alia Multiutility al centro).
L’obiettivo di fondo è stato quello di fare il punto sulla messa in opera degli impianti di riciclo e recupero per raggiungere l’obiettivo “discariche zero”, nel rispetto della gerarchia di gestione Ue, che vede le discariche come utili ma solo in via residuale; una gerarchia che per i rifiuti urbani sta diventando sempre più stringente, dato che entro il 2035 lo smaltimento dovrà fermarsi a massimo il 10% (mentre oggi in Toscana siamo al 35,7%).
«Del nuovo Piano regionale va apprezzata l’idea di fondo di un’impostazione incentrata su una gestione dei rifiuti in ottica di economia circolare – osserva nel merito Stefano Donati per Legambiente Toscana – L’augurio è che il procedimento avviato nel 2021 trovi davvero compimento nel prossimo mese di gennaio. Il limite del Prec, ad oggi, resta però quello di una mancata individuazione puntuale dell’impiantistica “innovativa” necessaria alla chiusura del ciclo: il che fa temere che ancora per lungo tempo la Toscana resterà ostaggio del modello fondato sulla discarica».
Quello della mancata localizzazione è un vulnus messo in evidenza anche dal ministero dell’Ambiente, ma in punta di diritto la Regione ha risposto che semmai il compito spetta agli Ato. Lasciando la questione ai giuristi, di certo l’impiantistica di chiusura del ciclo va fatta, e ognuno – Regione, Ato, gestori – ha la responsabilità di contribuire a metterla a terra contrastando il fenomeno delle sindromi Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato elettorale).
«È un tema da spiegare ai cittadini, che vedono arrivare un ennesimo impianto sul proprio territorio. Ma un conto – argomenta Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – è criticare per migliorare i progetti, un altro è farlo per mantenere lo status quo, che significa scegliere discariche e inceneritori».
Gli Ato hanno risposto presente alla sfida, come illustrato dai tre direttori – Michele Pinotti (Costa) Enzo Tacconi (Sud), Dario Baldini (Centro) –, per la prima volta tutti presenti al Forum legambientino, e rimarcato dai rispettivi gestori d’ambito. Alia ad esempio, come spiegato al presidente Lorenzo Perra, ha già realizzato due biogestori (a Montespertoli e a Peccioli, qui insieme a Belvedere), a Prato sta costruendo un hub per i rifiuti tessili, a San Donnino al posto dell’ex inceneritore sta nascendo un polo per il riciclo dei Raee. Il dg di Sei Toscana, Gianluca Paglia, ha documentato la svolta arrivata a partire già dal 2020 con l’ingresso nel gruppo Iren e l’avvio di un piano industriale che sta recuperando velocemente terreno sulla differenziata, con incrementi nei tassi di raccolta più rapidi che in ogni altro Ato (e una dotazione impiantistica che, anche grazie due termovalorizzatori, sostanzialmente già chiude i flussi sul territorio di competenza).
Il presidente di Retiambiente, Daniele Fortini, ha posto l’accento sulla sostenibilità sociale – a partire dalla crescente internalizzazione della forza lavoro, con appena il 5% di appalti di servizio – e sul record di raccolta differenziata (71%), sottolineando la sfida impiantistica: se i rifiuti possono essere davvero “una risorsa”, dobbiamo realizzare impianti per trattenerli sul territorio regionale traguardando l’autosufficienza. Impianti però davvero utili a chiudere il cerchio. «I Tmb (impianti di trattamento meccanico biologico, ndr) per come sono adesso potremmo chiuderli immediatamente, perché servono solo distinguere la frazione da inviare a bruciare o da interrare. Sono un trattamento intermedio che non serve – ha ricordato Fortini – Per questo ci stiamo concentrando con Pioppogatto, Scapigliato e Peccioli per renderli più vocati al recupero di materia, arrivando fino al 15-20% rispetto all’attuale 4-5%».
Un traguardo ambizioso ma possibile, come mostra l’impianto Re-mat messo in funzione nel senese da Sienambiente, dove il rimanente 80% in uscita viene inviato a termovalorizzazione. L’Ato costa però non ha più impianti di questo tipo, dopo l’affrettata chiusura del termovalorizzatore livornese. «Noi chiuderemo il ciclo di trattamento attraverso l’impianto di ossicombustione delle frazioni in progetto a Peccioli – ha chiosato sul punto Fortini –, vocato al recupero di materia (vetro, acqua, CO2) oltre che di energia».
Dopo i molti impianti di biodigestione aperti o in progetto lungo tutta la Toscana, è proprio la frazione secca dei rifiuti non riciclabili meccanicamente – indifferenziato, scarti della differenziata e del riciclo – ad essere rimasta la più difficile da gestire. Un contesto con cui presto tutti gli Ato saranno chiamati a confrontarsi perché, entro 180 giorni dall’approvazione del Prec, saranno loro a dover adeguare i rispettivi piani d’ambito. Una deadline che arriverà presto.
«Il Piano andrà in Consiglio per l’approvazione il 15 gennaio – ha anticipato l’assessora regionale Monia Monni nel suo intervento – anche se di fatto sta già marciando. Ad oggi 12 impianti sono già pronti o in realizzazione, e 8 in fase d’autorizzazione, senza contare gli altri presentati nell’ambito dell’avviso pubblico bandito nel 2021. Ora è il momento di dimostrare che davvero i rifiuti possono essere una risorsa, e anche per questo il Piano punta ad assottigliare il confine tra gli urbani e gli speciali, che sono l’80% di tutti quelli che produciamo». La Toscana genera infatti annualmente 2,1 mln t di rifiuti urbani e 9,7 mln t di speciali, di cui un terzo scarti dell’economia circolare (rifiuti da rifiuti e da depurazione). La gestione degli speciali è affidata per legge al mercato, col Prec che punta a perseguire il criterio di «tendenziale autosufficienza a livello di Ato per la gestione dei rifiuti urbani» ma anche a «la “teorica” autosufficienza regionale di trattamento dei rifiuti, ovverosia il conseguimento di condizioni che consentano il rispetto del “principio di prossimità”, annullando pertanto le quote di rifiuto esportato» per quanto riguarda gli speciali.
«Il Piano mira inoltre a chiudere il ciclo senza nuovi inceneritori – ha continuato Monni – La nostra non è una scelta ideologica, perché dove questi impianti ci sono e sono ben inseriti (come ad Arezzo) è giusto investire per migliorarli ulteriormente. So che questo resta un po’ il nodo del Prec, ma è una scelta forte per estrarre tutto il valore possibile dai rifiuti, come punta a fare l’ossicombustore in corso d’autorizzazione a Peccioli».
Il tutto senza dimenticare che la corsa verso lo sviluppo sostenibile si orienta su tre punti cardinali: sostenibilità ambientale, ma anche sociale ed economica. «Serve un sistema toscano che lavori nell’interesse dei toscani, il pubblico in questo momento si sta impegnando molto ma – ha riconosciuto il presidente di Confservizi Cispel Toscana, Nicola Perini – parte da una narrazione che l’ha reso debole: troppi sindaci per anni hanno detto che aumentare la raccolta differenziata avrebbe diminuito le tariffe, e ora si rischia di ripetere lo stesso errore dicendo che più investimenti significa meno Tari. Non è vero, perché essere attenti all’ambiente e alla crescita civile della società ha un costo economico su cui riteniamo sia giusto investire (per la gestione dei rifiuti urbani che generiamo spendiamo oggi circa 1 euro al giorno, ndr). O noi andiamo a sperimentare un nuovo paradigma in cui pubblico, privato e società civile si accollano insieme i problemi collettivi oppure s’indebolisce l’intero sistema democratico. Dobbiamo ritrovare tutti le ragioni di una compartecipazione, parlando anche di Ato unico a livello regionale, per uscire davvero dai confini comunali e pensare agli interessi del cittadino toscano».
Non è un caso che anche Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, abbia posto l’accento sulla necessità di prendersi le proprie responsabilità, e non solo sul fronte dell’economia circolare ma anche di transizione energetica.
«È stata un’intuizione felice quella dell’avviso pubblico nel Prec, per chiamare una partecipazione e responsabilizzazione dei territori, dopodiché c’è un tema: quando si parla di localizzazione impiantistica – ha ammonito Ferruzza – non ce n’è mai una che vada bene, e ricordiamoci che oltre dei rifiuti urbani dobbiamo occuparci anche degli speciali. Per questo quando qualcuno mi parla di nucleare mi viene da ridere, osservo che è difficile fare anche un impianto di compostaggio. Provino a localizzare una centrale nucleare e vediamo quanti sono d’accordo. Piuttosto concentriamoci sulla legge regionale per le aree idonee alle fonti rinnovabili, si tratta di un’occasione che non ci possiamo permettere di perdere».
La dimostrazione che gli impianti rinnovabili ma anche dell’economia circolare si possono fare, e bene, in Toscana ce l’abbiamo già. Tra gli esempi portati al Forum a spiccare è quello di Revet, azienda pontederese divenuta ormai un caso scuola a livello internazionale, illustrato dall’ad Alessia Scappini: con 62 mln di euro investiti nell’ultimo quinquennio e oltre 354mila t/a di rifiuti trattati, rappresenta uno dei principali hub italiani del riciclo, e uno dei soli tre in grado di riciclare la componente poliolefinica degli imballaggi plastici posto consumo, dando una nuova vita – sotto forma di componenti automotive, vasi per i vivai, canoe sportive e molto altro – a materiali altrimenti destinati a incenerimento o discarica, abbattendo al contempo del 75% le emissioni di CO2 rispetto alla plastica vergine.
«Durante questa edizione del Forum dell’economia circolare abbiamo rilevato la necessità di una ricerca più forte ed efficace sul riciclo della plastica – ha concluso nel merito Maria Rita Cecchini, responsabile Economia circolare di Legambiente Toscana – Serve urgentemente, anche in Toscana, trovare soluzioni per l’impiego delle plastiche degradate, in un mercato (quello degli oggetti da materie prime seconde) che non ha affatto una vita semplice. Nella nostra regione è necessario implementare buone pratiche per aumentare il riciclo effettivo di diversi tipi di plastiche, quali ad esempio quelle recuperate dal mare e in avanzato stato di degrado, per migliorare i prodotti e le materie prime seconde da rimettere sul mercato».