In Toscana il Piano regionale rifiuti riparte dal Consiglio: a che punto siamo, e dove dobbiamo arrivare
Da questa settimana il Consiglio regionale discuterà, per un paio di mesi, il nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti, ed arriverà probabilmente entro l’anno ad approvarlo in via definitiva. Si dovrebbe così concludere un lungo percorso di discussione, avviato nel 2021, e la Toscana disporrà di uno strumento di pianificazione importante, in un settore strategico, a lungo atteso.
Un Piano che si inquadra in un contesto di policy fortemente mutato in questi anni: le nuove direttive rifiuti del 2019, il Piano europeo di azione per l’economia circolare del 2020, il Programma nazionale di gestione dei rifiuti del 2022, la regolazione dei rifiuti urbani passata ad Arera dal 2019. Un paradigma nuovo, l’economia circolare, e un gran numero di norme e misure che promuovono riduzione e prevenzione, riciclo e recupero di materia ed energia.
A che punto siamo in Toscana? Abbiamo dati ufficiali del 2022, ultimo anno di rilevamenti Ispra. Produciamo 2,15 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, ne raccogliamo in forma differenziata 1,4 (il 65,6%), di cui 525mila di frazione organica che gestiamo in impianti toscani per 290mila tonnellate e ne esportiamo fuori regione 220mila. Il tasso di riciclo effettivo dovrebbe aggirarsi (Ispra non dà dati regionali) al 52,1% (superiore quindi alla soglia del 50% previsto per legge al 2020), valore che potrebbe essere leggermente superiore se si considerassero anche i metalli recuperati dalle ceneri di incenerimento. Gli scarti delle raccolte differenziate sono circa 300mila tonnellate, valore medio un po’ alto (21% delle RD) dovuto soprattutto ad alti scarti nei nostri impianti di compostaggio (38%). Non si hanno notizie certe sul destino di questi scarti, verosimilmente vanno più a discarica che ad incenerimento, principalmente in Toscana.
I rifiuti indifferenziati sono circa 740mila, che vanno prevalentemente al sistema dei Tmb/Tm toscani (638mila tonnellate) mentre 77mila vanno ad incenerimento diretto nei 4 impianti toscani e 6 a discarica diretta in impianti regionali.
Dai Tmb/Tm esce prevalentemente un flusso di rifiuti trattati che va a discarica, 419mila tonnellate (il 59,1% di ciò che entra nei Tmb/Tm), che finiscono tutte nelle discariche toscane. La frazione secca o Css destinata a recupero energetico è “soltanto” pari a 117mila tonnellate (il 16,5% di ciò che entra nei Tmb/Tm toscani). Una parte dei materiali lavorati negli impianti di selezione va a recupero di materia (metalli, Fos a copertura discarica, legno) per circa 71mila tonnellate (non si possono conteggiare nel calcolo del riciclo effettivo per una assurda impostazione della Commissione europea, altrimenti il nostro tasso di riciclo sarebbe ancora superiore). Una parte piccola va a depurazione o rappresenta perdite di processo, una parte va ad ulteriore trattamento (17mila tonnellate) o a stoccaggio (22mila tonnellate), da cui verosimilmente (dopo due trattamenti) va a discarica o a incenerimento.
In sintesi la Toscana manda a recupero di materia il 52,1% di rifiuti urbani a cui si somma il 3,3% di recuperi non conteggiabili a fini degli obiettivi europei. A recupero energetico va l’11,6% dei rifiuti urbani totali (una piccola parte esportata fuori regione e fuori Italia), a discarica va il 30,7% circa dei nostri rifiuti urbani, 662mila tonnellate. Il resto sono perdite di processo e flussi a depurazione.
Questo due anni fa, ma ad oggi cosa è cambiato? La novità più consistente è che sta prendendo forma l’assetto industriale dei digestori anaerobici: inaugurato l’impianto di Alia di Montespertoli, chiusi i lavori dell’impianto di Albe a Peccioli, a breve si avvia l’impianto di Geofor, operativi i nuovi impianti di Arezzo e Siena del gruppo Iren. Sommati agli impianti esistenti e rimasti attivi, questa capacità impiantistica dovrebbe eliminare l’esportazione (per altro a prezzi molto convenienti) verso gli impianti del nord Italia (Lombardia e Veneto) e garantire l’assorbimento della futura crescita di raccolta differenziata da qui al 2030. La Regione ha deciso di non includere digestori anaerobici e compostaggi nell’elenco degli “impianti minimi” considerato l’assetto di mercato di questo settore, confermato ormai da molte sentenze. Altre regioni l’hanno fatto, sfruttando le indicazioni del Programma nazionale di gestione dei rifiuti e le delibere Arera. Se gli impianti integrati (Montespertoli) o “quasi” integrati (convenzioni nell’Ato sud) rimarranno nell’area della regolazione, gli altri si trovano in regime di libero mercato, coi rischi conseguenti. Stessa sorte potrebbe toccare a futuri impianti previsti e non integrati. Un punto su cui occorre fare chiarezza.
Molte le iniziative impiantistiche in corso su flussi specifici di rifiuti: il textile hub di Alia e il suo progetto per i Raee a San Donnino, l’impianto del gruppo Iren per schede Raee e quello per pannelli fotovoltaici dismessi, i progetti nell’Ato costa su pannolini, rifiuti spiaggiati, spazzamento.
Sul piano degli impianti di recupero energetico le novità ci sono ma per adesso non mutano sostanzialmente il quadro regionale. Aisa impianti ha avviato un ampliamento, Cis ha bandito la gara per la gestione dell’impianti di Montale ed eventuali trasformazioni impiantistiche, a Livorno si continua a discutere di chiusura mentre si avvia la nuova Aia. Sul fronte “nuovi” impianti è in corso l’istruttoria per l’ossicombustore di Peccioli, mentre sul versante “gassificatori” per adesso non ci sono novità.
Le discariche toscane sono in funzione, anche se non si è chiusa ancora l’istruttoria per l’ampliamento di Peccioli, mentre la discarica di Rosignano non può prendere rifiuto urbano trattato fino all’approvazione del nuovo Piano. Qualche nuvola quindi anche su questo fronte, che ha strutturalmente garantito in questi anni l’autosufficienza toscana nei flussi di indifferenziato.
In questo quadro cosa prevede il Piano regionale, che dopo l’adozione arriva in Consiglio una volta acquisite le osservazioni e proposte della fase di dibattito pubblico?
Il Piano prevede la riduzione della quantità di rifiuti urbani, di un valore significativo e non realistico (a meno di non avere un prolungamento della stagnazione e della crisi dei consumi). Il target di raccolta differenziato è sensato nella prima parte (75%) irrealistico nella seconda (82%), come media regionale. Arrivare al 75/76% al 2030 è possibile, già sono a questo livello Lucca e (quasi) Prato, vicini al 70 % sono già Firenze, Pisa e Massa Carrara. Con un valore medio del 75/76% e una riduzione significativa degli scarti (anche se inferiore a quella indicata dal Piano) la Toscana raggiunge l’obiettivo al 2035 di riciclo effettivo al 65% considerando anche i metalli da recupero energetico. Il target dell’82% come media regionale appare inutile e costoso, anche se molti singoli Comuni lo raggiungeranno.
Se cogliere gli obiettivi di riciclo effettivo (55% al 2025, 60% al 2030 e 65% al 2035) appare fattibile, più difficile ad oggi sembra garantire l’avvio a discarica di una quota inferiore al 10% del totale al 2035, rispettando gli step intermedi che il Piano regionale deve contenere. Si parte da un dato di oltre il 30% nel 2022 e per scendere non basterà l’aumento del riciclo, occorre attivare impianti di recupero energetico, che deve passare dall’attuale 11,6% ad un valore compreso fra 25 (limite discarica 10%) e 35% (caso discarica zero). Tecnicamente una quota consistente degli scarti del riciclo (80/90%) sono combustibili, cosi come la parte prevalente dei flussi in uscita dai Tmb/Tm. Significa avere capacità di recupero energetico per 650.000 tonnellate (flusso rifiuti attuali) e comunque di 600.000 tonnellate (in caso di decrescita nella produzione di rifiuti). Oggi disponiamo di impianti in Toscana per 221mila tonnellate (considerando anche il coincenerimento). Mancano 400.000 tonnellate, le risposte all’avviso pubblico contengono la soluzione al problema, ma ora serve trasformare progetti e istruttorie in impianti, rapidamente, superando problemi autorizzativi, reazioni Nimby, timidezze elettorali.
La Commissione europea non ci farà sconti sul tasso di conferimento in discarica, e la nostra “valvola di sicurezza” (le discariche regionali) che ci ha fatto comunque dormire sonni tranquilli in questi decenni ed evitare crisi nella gestione dei rifiuti, si sta pian piano esaurendo. Siamo costretti a fare impianti in Toscana se vogliamo evitare l’export, ma soprattutto se vogliamo dare a cittadini e imprese toscane la “sicurezza” di una gestione dei rifiuti affidabile e stabile nei prezzi, non dipendendo dall’offerta esterna alla Toscana (l’esperienza col gas russo sia di monito).
Il Piano regionale non contiene “localizzazioni” vincolanti per questi nuovi impianti, si limita a stimare i fabbisogni, ad indicare le soluzioni “di mercato” proposte in risposta all’avviso pubblico, a ritenerle idonee a colmare i deficit, sottolineando che si tratta di soluzioni di mercato (recupero di materia e di energia) quindi sottratte alla pianificazione (che può occuparsi solo di smaltimento, ovvero Tmb/Tm, discariche e inceneritori autorizzati in D).
Lo stesso ministero dell’Ambiente, nelle sue osservazioni, ha sottolineato che il Piano regionale deve contenere l’indicazione esatta degli impianti di “chiusura del ciclo” e non limitarsi ad indicare un elenco di proposte di mercato né tantomeno rinviando alle Autorità di ambito il compito futuro di individuare localizzazioni. La Regione, in punta di diritto, ha risposto che la legge non dice così.
Lasciando ai giuristi la discussione giuridica, una cosa è certa. L’impiantistica di chiusura del ciclo va fatta, ognuno (Regione, Ato, gestori) ha la sua responsabilità, indipendentemente dagli obblighi di legge o meno: la governance pubblica ha la responsabilità politica di decidere, per tempo.