Snpa, il 2023 è stato il decimo anno consecutivo con caldo record in Italia
Mentre si dibatte sui presunti impatti paesaggistici degli impianti necessari per produrre energia da fonti rinnovabili, come risultato il Paese è fermo allo status quo della transizione ecologica e il paesaggio italiano viene devastato anno dopo anno dalla crisi climatica in corso.
Il report Snpa Il clima in Italia nel 2023, pubblicato oggi, documenta che il 2023 è il decimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto alla media climatologica 1991-2020, collocandosi al secondo posto con +1,14 °C.
Ottobre è stato il mese relativamente più caldo (+3,27 °C) ma è nell’estate che l’Italia è stata investita da intense onde di calore, con le temperature di 48,2 °C registrate il 24 luglio a Jerzu e Lotzorai, proprio in quella Sardegna che paradossalmente ha approvato una moratoria contro i nuovi impianti rinnovabili.
L’Europa è il continente che si sta riscaldando più rapidamente, con un aumento delle temperature pari a circa il doppio della media globale, mentre in Italia il dato sfiora il triplo: rispetto a +1,1°C registrati a livello internazionale rispetto all’era pre-industriale, qui siamo a quasi +3°C.
Un andamento che si traduce nel forte incremento degli eventi meteo estremi, dalle siccità alle alluvioni che si presentano a fasi alterne: ricordando i principali drammi dell’ultimo anno, il Snpa sottolinea che «le precipitazioni eccezionali in Emilia-Romagna e Toscana, come quelle particolarmente scarse in Sicilia e in parte della Calabria ionica, sono emblematiche di un’estremizzazione del clima mediterraneo».
Il quantitativo complessivo di piogge non si discosta molto dalla media storica. Dopo il grave deficit del 2022 (-22%), le precipitazioni cumulate annuali in Italia nel 2023 segnano infatti appena -4% rispetto al periodo 1991-2020; il problema è la distribuzione delle piogge nel tempo e nello spazio, con eventi sempre più concentrati. Basti osservare che i mesi più secchi sono stati febbraio (-56%) e settembre (-51%), mentre i mesi più piovosi maggio (+143%) e giugno (+77%).
L’aggiornamento al 2023 del bilancio idrologico nazionale attraverso il modello Bigbang e le relative statistiche sulla disponibilità di risorsa idrica (internal flow), date dalla sottrazione alle precipitazioni del quantitativo d’acqua che torna in atmosfera per evapotraspirazione, mostra che nell’ultimo anno la disponibilità idrica nazionale si è fermata a 112,4 mld mc (a fronte di precipitazioni per 279 mld mc), segnando così -18,4% rispetto al 1951-2023 (arrivando a circa -50% in Sicilia e Sardegna).
Il 19% delle precipitazioni ha contributo alla ricarica degli acquiferi, il 23,7% è imputato invece al deflusso superficiale (ossia l’acqua che non è infiltrata o trattenuta dal suolo), mentre la quota di evapotraspirazione – complici le temperature sempre più elevate – ha raggiunto nel 2023 il 59.4% della precipitazione, ponendosi nuovamente al di sopra della media annua di lungo periodo di circa il 52%, così come era già accaduto nel 2022 (quando aveva raggiunto circa il 70% della precipitazione).
Si prevede che il dato della disponibilità idrica calerà molto nei prossimi decenni (fino a -40% nel 2100, già oggi diminuito di circa il 20% rispetto al 1921-1950), ma al contempo sia oggi sia in futuro continuerà a piovere in eccedenza rispetto ai fabbisogni antropici ed ecologici.
Va da sé che gli elementi per difendere il Paese dalla crisi climatica quanto dai danni di alluvioni e siccità, le strade da percorrere – in parallelo – sono due.
Da una parte riportare l’acqua all’interno dei bilanci dello Stato, mettendo in campo un Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica dal fabbisogno (decennale) stimato dalla Fondazione Ewa in 176,5 mld di euro (mentre per il Pniissi il Governo Meloni sta stanziando neanche 1 mld di euro), in modo da difendere il territorio dalle alluvioni e al contempo accumulare risorsa idrica per i periodi di siccità.
Dall’altra, portare avanti con vigore la transizione energetica basata su efficienza energetica e fonti rinnovabili. Queste ultime continuano però a marciare a un ritmo molto più lento del necessario, e il nuovo Pniec inviato dal Governo a Bruxelles si dimostra, ancora una volta, inadeguato a cambiare marcia.