Interessante la discussione sulla sostenibilità paesaggistica del fotovoltaico in Italia fra l’ambientalista “ortodosso” Francesco Ferrante e il “rinnegato” Chicco Testa. Vediamo di delimitare l’oggetto del contendere. Tutti siamo d’accordo che nel 2030 e poi ancora di più nel 2050 la gran parte dell’energia elettrica sarà prodotta da fonti rinnovabili. Resterà forse un piccolo spazio alla fonte “nucleare”, ovviamente di piccola taglia, in attesa, dopo il 2070, di un possibile graduale avvento dell’energia nucleare da fusione. E il futuro sarà il “paradiso della sostenibilità” energetica. Ma nella transizione ci sarà da sopportare alcuni costi, fra cui quelli paesaggistici.
Siamo tutti d’accordo che dobbiamo sfruttare per il fotovoltaico le aree dismesse, i tetti industriali e degli edifici agricoli e residenziali, ma che questi non sono sufficienti alle necessità di copertura del fabbisogno da fotovoltaico. E che quindi bisogna intaccare anche lo spazio green e quindi quello agricolo. È una “ferita” che dobbiamo sopportare perché limitata in termini di spazio, dice Ferrante. È invece un “vulnus” da evitare nelle aree di particolare pregio paesaggistico, dice Testa. E questa scelta non può dipendere esclusivamente dall’interesse dell’agricoltore proprietario del terreno. Perché la scelta è “distorta” dal forte divario di rendimento fra agricoltura e rendita a fini di sfruttamento energetico.
Questa divisione di punti di vista non è così forte. Si può comporre. Le regioni devono definire le aree idonee e non idonee entro gennaio 2025, come prevede il decreto in uscita in questi giorni dal Governo. E credo che la risposta giusta potrebbe essere quella di definire non tanto un sistema rigido di “in” e “out”. Ma piuttosto un sistema a tre livelli: l’area “in” e l’area “out” con un sistema ipersemplificato di autorizzazione. E una terza “area grigia” sottoposta a qualche elemento di valutazione più approfondito e quindi a una procedura tendenzialmente più lunga e meno automatica.
Voglio ricordare un aneddoto di quando facevo il Direttore generale alla Regione Toscana. Un giorno mi chiama un imprenditore del vino, abbastanza alto anche per me che non ne capisco molto, e mi manda una foto del suo “castello” deturpato da una filiera di pale eoliche messe lì quasi solo per disturbarlo. Il paesaggio ne risultava decisamente rovinato. E io, dal momento che le pale c’erano già, non potei dargli altro che un “appoggio morale”. Ecco, credo che in quel caso, una procedura più attenta avrebbe evitato quello scempio.
E quindi? Quindi, favoriamo l’impianto nelle aree dove non ci sono problemi e anche nelle aree green con minore “fragilità”. E invece facciamo più attenzione nelle aree intermedie, dove il fotovoltaico può causare delle ferite non sopportabili per la comunità.
Credo che l’approccio “a tre aree”, se ben gestito e impostato in maniera non “furbesca” (per esempio quasi tutto il territorio in area grigia oppure in area “in”), possa portare ad un buon “compromesso” fra ambientalisti ortodossi, ambientalisti rinnegati e industrialisti.