
La lotta contro la crisi climatica costa il 3% del Pil globale, per salvarne il 15%

Dal 2000 a oggi, eventi estremi legati al clima hanno già causato 3.600 miliardi di dollari di danni economici – di cui 1.000 miliardi solo tra il 2020 e il 2024 –, e in Europa e Stati Uniti gli assicuratori si stanno già ritirando da zone vulnerabili ai disastri naturali e per questo motivo uninsurable, ossia prive di copertura assicurativa per il rischio troppo elevato.
È quanto emerge dal recente rapporto The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk, elaborato dal World Economic Forum in collaborazione con Boston Consulting Group (BCG), secondo il quale le aziende che non adottano misure per contrastare i rischi climatici potrebbero vedere fino al 25% dei propri profitti aziendali a rischio entro il 2050, mentre a livello globale il Pil potrebbe contrarsi fino al 22% entro la fine del secolo.
Il report di BCG e WEF distingue due tipi di minacce per le aziende. Da un lato, i rischi fisici, legati agli eventi estremi come uragani, incendi e siccità, che danneggiano infrastrutture, rallentano le produzioni e interrompono le supply chain. Dall’altro, i rischi di transizione, che derivano dall’aumento della carbon tax e dalla svalutazione degli asset legati ai combustibili fossili. Ad esempio, la domanda mondiale di carbone è destinata a diminuire del 90% entro il 2050, impedendo a qualsiasi impianto messo in funzione dopo il 2010 di raggiungere la fine del suo ciclo di vita (che è in media di 20-25 anni). Inoltre, nei prossimi due decenni le imprese più esposte vedranno i costi operativi lievitare e il valore di asset fossili calare fino a -35% già entro il 2030, con conseguenze in diverse industrie.
Di fronte a questo scenario, il rapporto evidenzia come investire nella transizione ecologica non sia solo una necessità ambientale, ma anche una scelta economicamente vantaggiosa per le imprese. Ogni dollaro investito in resilienza climatica genera un ritorno economico compreso tra 2 e 19 dollari, evitando perdite future.
Anche a livello macroeconomico gli investimenti sono vantaggiosi sul lungo termine: per mantenere il riscaldamento sotto i 2°C, sarebbe necessario investire circa il 2% del Pil globale in mitigazione e un ulteriore 1% in adattamento, ampiamente ripagati dal momento che si eviterebbero perdite tra il 10% e il 15% del Pil mondiale entro la fine del secolo.
«Molte aziende sono consapevoli dei rischi climatici, ma faticano a tradurli in una strategia concreta. Il vero pericolo è pensare che il clima sia un problema distante, quando in realtà l’impatto economico dei rischi fisici da eventi atmosferici è già evidente e, senza azioni concrete, destinato a crescere in modo esponenziale – spiega Lorenzo Fantini, Managing Director e Partner di BCG – Non possiamo più permetterci di ignorare i segnali d’allarme: l’adattamento climatico non è un costo, ma un investimento necessario per salvaguardare il proprio business. Rimandare significa pagare poi un prezzo esorbitante quando il rischio diventa realtà».
In compenso chi saprà cogliere l’opportunità della transizione climatica avrà davanti un mercato in espansione: il valore dell’economia verde passerà dagli attuali 5.000 miliardi di dollari ai 14.000 miliardi entro il 2030. Secondo lo studio, a trainare la crescita saranno l’energia alternativa (49% del mercato), i trasporti sostenibili (16%) e i prodotti di consumo eco-friendly (13%): settori che stanno crescendo a un ritmo annuo del 10%-20%, ben al di sopra del tasso di crescita globale.
