In Italia la crisi climatica corre più veloce, abbiamo già superato la soglia dei +2°C
I nuovi dati pubblicati stamani dal Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus (C3S), il programma europeo di punta per l’osservazione della Terra, documentano un’avanzata sempre più rapida della crisi climatica.
Il 2024 emerge come l’anno più caldo mai registrato, segnando +1,6°C nella temperatura media atmosferica globale rispetto all’era preindustriale (1850-1900), e +0,72% rispetto al trentennio climatologico compreso tra il 1991 e il 2020. L’Europa soffre di più, dato che il Vecchio continente nel 2024 presenta una temperatura media superiore di 1,47°C alla media del periodo di riferimento tra il 1991 e il 2020: il doppio rispetto al dato globale. E in Italia?
Su Climalteranti Claudio Cassardo (meteorologo e fisico dell’atmosfera all’Università di Torino) e Stefano Caserini (che insegna Mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’impatto ambientale all’Università di Parma), attingendo ai dati Noaa, stimano per il nostro Paese +2,24°C rispetto all’era preindustriale. Ben oltre entrambe le soglie di sicurezza a livello globale – 1,5°C e 2°C – individuate dall’Ipcc nell’Accordo di Parigi sul clima.
«Si tratta di una stima in linea coi dati forniti da Copernicus, sappiamo che l’anomalia italiana oscilla tra 2,1 e 2,4°C – spiega a greenreport.it Giulio Betti, meteorologo e climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e del Consorzio Lamma – L’elemento di fondo è che, a livello globale, il 2024 è stato anche il primo anno solare che ha superato di oltre 1,5°C il livello preindustriale. Abbiamo raggiunto questa soglia con diversi anni di anticipo rispetto a quanto previsto, ovvero entro il 2030».
Intervista
Averla infranta per un solo anno non significa però aver già superato il primo limite di sicurezza indicato dall’Accordo di Parigi, giusto?
«È vero, l’avremo superato quando l’anomalia di temperatura sarà oltre +1,5°C in modo “stabile”, ovvero per almeno 3-5 anni. Ma il fatto di avere sfiorato nel 2023 e abbondantemente superato nel 2024 i +1,5°C a livello globale, nonostante l’arrivo della Niña negli ultimi mesi del 2024 (ovvero il fenomeno ciclico di raffreddamento su larga scala delle temperature superficiali delle acque nell'Oceano Pacifico equatoriale centrale e orientale, ndr), lascia pensare che si possa essere entrati in un tipping point, superando uno scalino dal quale non si torna indietro. La probabilità che i +1,5°C vengano raggiunti stabilmente nei prossimi anni si è alzata di molto».
Ci sono ancora speranze per restare al di sotto di tale soglia?
«Secondo me non ce la faremo, a detta di tutti gli addetti ai lavori la probabilità è ormai bassissima. Ma tra un riscaldamento di +1,5°C e uno di +2°C c’è un abisso: ogni decimo di grado conta. Il problema è che l’attuale traiettoria ci porta a +2,7°C a livello globale al 2100. Penso dunque che le prossime Cop sul clima si concentreranno sul limite dei due gradi».
Anche perché il contesto geopolitico è sempre più complesso per la lotta alla crisi climatica, a partire dall’ormai prossimo insediamento di Trump alla presidenza Usa.
«Con onestà va detto anche che durante l’amministrazione Biden la quota di petrolio estratto negli Usa ha raggiunto i massimi, sebbene abbiano investito moltissimo anche sulle fonti rinnovabili, ma è chiaro che la politica di Trump sarà peggiore, essendo totalmente negazionista. Dunque ci si attende che gli investimenti su mitigazione e adattamento saranno appannaggio dei singoli Stati “ribelli” degli Usa. Chi finora ha fatto molto bene è l’Europa, avendo diminuito molto le proprie emissioni e l’uso di combustibili fossili».
I dati Copernicus rendono però evidente la necessità di fare di più, anche in Europa, spingendo gli investimenti sul doppio fronte della mitigazione e dell’adattamento.
«Naturalmente, e oggi quella dell’adattamento è una necessità stringente, dato che dobbiamo correre ai ripari in attesa che la curva del riscaldamento globale smetta di crescere. Ma per smettere di crescere dobbiamo tagliare le emissioni di gas serra, aumentando la quota di fonti rinnovabili a discapito delle fossili. Perché adattarsi al clima che cambia è ormai indispensabile, ma se la temperatura continua a salire l’adattamento di oggi non varrà già più tra dieci anni».
Nel dibattito pubblico e politico si sta ri-affacciando l’ipotesi di affidarsi all’energia nucleare per produrre elettricità senza ricorrere ai combustibili fossili, ma l’Ipcc ritiene che lo sviluppo di questa tecnologia sia troppo lento – rispetto alle rinnovabili – per permettere una decarbonizzazione rapida (ed efficiente sotto il profilo dei costi, come evidenzia la Iea) nel poco tempo utile che ci rimane. Lei cosa ne pensa?
«L’Ipcc non dice di non usare il nucleare, ma che è una risorsa energetica lenta. Il nucleare rappresenterà sempre una porzione minima nella produzione di elettricità, perché oltre al tema delle scorie e dei rischi da gestire presenta un problema di tempi tecnici per la realizzazione delle centrali. Sono le energie rinnovabili, insieme all’efficientamento energetico, la soluzione primaria cui possiamo affidarci. Ma se non si accelera sulla transizione, la soluzione è talmente grave che ci troveremo con le spalle al muro: andrà bene ogni soluzione alternativa ai combustibili fossili. Eppure basterebbe appena l’1% del territorio globale, installandovi sopra impianti rinnovabili, per avere tutta l’energia di cui abbiamo bisogno. In Italia si moltiplicano invece i divieti alle installazioni, ma dobbiamo sapere che tetti e capannoni non basteranno per l’indipendenza energetica: anche gli impianti a terra sono necessari».
Eppure si sta facendo largo la retorica che vede la transizione ecologica – e l’avanzamento delle fonti rinnovabili – come un costo maggiore rispetto alla crisi climatica, con gli stessi scienziati Copernicus a segnalare la presenza di disinformazione strumentalizzata dalla politica. Cosa ne pensa?
«A livello personale, sui canali social e fuori, sono immerso quotidianamente nella disinformazione climatica, alla quale ho dedicato anche un libro (Ha sempre fatto caldo!, uscito per i tipi di Aboca pochi mesi fa, ndr). La disinformazione si è rafforzata negli ultimi anni, e c’è un motivo: la crisi climatica è sempre più evidente. Per cercare di evitare che cresca la consapevolezza nei cittadini, ora non si tende più a negare il cambiamento climatico, ma a minimizzarne gli effetti. La disinformazione è un po’ come il mostro che fa più danni quando si dibatte prima di morire, la situazione è oggettivamente grave».