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L’intervista alla senior scientist Francesca Guglielmo

I dati non bastano per la lotta alla crisi climatica. Copernicus: «Educare all’informazione può aiutare molto»

«La consapevolezza generale delle questioni legate al clima è notevolmente migliorata, ma c’è ancora disinformazione, spesso strumentalizzata dalla politica»
 |  Interviste

Copernicus è il programma europeo di punta per l’osservazione della Terra, dal quale arriva un contributo fondamentale per il monitoraggio della crisi climatica in corso. Ma i dati non bastano: occorre saperli comunicare, offrendo ai cittadini strumenti utili per interpretare la realtà in un modo che consenta di attuare un cambiamento sociale positivo. Ne abbiamo parlato con Francesca Guglielmo, senior scientist del Copernicus climate change service (C3S) e Ecmwf.

Intervista

Da dove provengono e come vengono elaborati i dati Copernicus in merito al cambiamento climatico?

«C3S Copernicus climate change service è uno dei sei servizi tematici del programma Copernicus implementato dall'Ecmwf. Le analisi sul clima di C3S, ad esempio quelle presentate nei bollettini mensili sul clima, si basano principalmente sul set di dati di rianalisi atmosferica globale ERA5, il set di dati “di punta” prodotto da C3S, che descrive le condizioni meteorologiche a scala oraria dal 1940.

ERA5 combina osservazioni meteorologiche (in situ e da telerilevamento) con un modello di previsione meteorologica, per determinare le condizioni meteorologiche passate nel modo più accurato possibile e fornisce un gran numero di variabili come temperatura, precipitazioni, vento o umidità a differenti livelli dell'atmosfera. I dati ERA5 vengono inoltre utilizzati, insieme ad altri set di dati (basati su osservazioni o modelli), nel rapporto annuale C3S sullo stato del clima in Europa (Esotc - European State of the Climate) e forniscono anche le condizioni meteorologiche storiche necessarie per generare un'ampia varietà di altri set di dati, ad esempio di portata dei fiumi e di pericolo di incendi».

Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrà permettere di migliorare ancora di più l’accuratezza delle proiezioni climatiche?

«L’applicazione dell’intelligenza artificiale alla meteorologia e al clima è molteplice e diversi approcci sono attualmente in fase di sviluppo o iniziano ad essere applicati insieme alle tecniche tradizionali. L'obiettivo generale è infatti quello di migliorare l’accuratezza, spesso aumentando la risoluzione, con chiare ricadute scientifiche in termini di migliore comprensione dei processi. Inoltre è fondamentale migliorare l’utilità e la sfruttabilità delle previsioni e delle proiezioni per comprendere meglio, e quindi prevenire, gli impatti, idealmente alle scale spaziali e temporali in cui tali impatti si verificano.

Varie strategie e tecniche di machine-learning possono essere utilizzate in ogni fase della generazione di informazioni sul clima: possono contribuire a migliorare la qualità dei dati di osservazione, integrare i modelli o sostituirne componenti computazionalmente costosi, migliorare la qualità dei risultati dei modelli. Rispetto ad approcci convenzionali, l’uso dell’intelligenza artificiale si traduce spesso in un netto guadagno di tempo e in una riduzione (o ridistribuzione) dei costi energetici associati al calcolo ad alte prestazioni. Ulteriori risorse come il cloud computing, le reti di connettività ad alta velocità e, soprattutto, dati provenienti da più fonti sono vitali per la realizzazione di questi nuovi sviluppi».

L’ultimo rapporto sullo Stato europeo del clima, pubblicato da Copernicus in tandem col Wmo, documenta che in Europa il cambiamento climatico sta correndo a velocità doppia rispetto alla media globale. Qual è invece il trend della temperatura in Italia? C’è chi stima una velocità quasi tripla, con circa +3°C rispetto all’era preindustriale.

«C3S non si fornisce dati su trend a scala nazionale, consigliando di rivolgersi ad agenzie a uffici meteorologici nazionali».

In Italia gli eventi meteo estremi, messi in fila da Legambiente, sono cresciuti del 22% nel 2023 e del 55% nel corso dell’anno precedente, un trend che l’Ipcc lega chiaramente al riscaldamento globale: continuerà a peggiorare, come mostra la nuova alluvione in corso in Emilia Romagna?

«Va detto che non tutti gli eventi estremi sono uguali, ma per alcuni di essi esistono tendenze chiare che continueranno nel futuro. A titolo di esempio, l’Ipcc nel rapporto AR6 riporta una tendenza verso un’intensificazione degli episodi di precipitazione più intensa come conseguenza del cambiamento climatico».

La descrizione scientifica della crisi climatica in corso è sempre più precisa, ma è in crescita un rigetto sociale di questa realtà. Negli anni come ha visto evolvere la disinformazione su questi temi?

«Sì la disinformazione in materia di clima e cambiamento climatico, generalmente amplificata dall’evoluzione dei social media, si è evoluta negli ultimi anni. Con l’aumento della disponibilità di informazioni di alta qualità, alcune argomentazioni sono state progressivamente abbandonate e la consapevolezza generale delle questioni legate al clima è notevolmente migliorata, ma c’è ancora disinformazione, spesso strumentalizzata dalla politica.

Un sempre più ampio e facilitato accesso ai dati, se da un lato è essenziale per tutti gli aspetti della scienza del clima, degli impatti climatici e dei servizi climatici, può esacerbare l’uso improprio delle informazioni quando non viene fornita (né richiesta) una guida accurata.  Educare all’informazione sul clima pubblici diversi può aiutare molto anche a prevenire la cosiddetta climate-fatigue, il disagio crescente legato al profluvio indiscriminato di informazioni spesso catastrofiche, che contribuisce al rifiuto sociale».

Da scienziata del clima, quali pensa siano le priorità da comunicare in modo più efficace ai cittadini per suscitare una reazione proattiva alla sfida che abbiamo tutti di fronte?

«Personalmente credo che insistere solo su record ed estremi ben oltre il loro significato scientifico come spesso accade da parte degli organi di informazione possa contribuire a creare un sentimento di rovina imminente e innescare la passività e l’indifferenza. La sfida sta nel trovare il giusto equilibrio tra comunicare la realtà (o fornire strumenti per interpretarla) e allo stesso tempo cercare di mostrare ai cittadini anche altri aspetti del fenomeno, ad esempio informando su storie di successo (ad esempio attivismo politico costruttivo, soluzioni di adattamento con risultati positivi, iniziative di citizen science)».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.