
La Toscana è ricca d’acqua, ma in crisi climatica il rischio siccità si ripresenta già ogni 3-4 anni

Alla vigilia della Giornata mondiale dell’acqua, l’Autorità idrica toscana (Ait) col suo direttore generale – Alessandro Mazzei – affronta alcuni temi centrali per un uso sostenibile della risorsa idrica, in un contesto di crisi climatica che porta al continuo alternarsi di siccità e alluvioni.
Emergono in particolare la necessità di affrontare le fasi siccitose con interventi che spaziano dalle grandi infrastrutture idriche ai dissalatori; la capacità di mettere a terra nuovi investimenti, grazie anche all’ammontare record di risorse (circa 280 mln di euro) conquistate dal Pnrr; l’urgenza di una buona informazione e comunicazione sui temi più vicini all’utenza, che si parli di costi delle tariffe idriche o di ripubblicizzazione delle società che hanno in carico la gestione del servizio idrico integrato.
Intervista
Il cambiamento climatico in corso come influisce e influirà sull'approvvigionamento idrico?
«C’è già stato un incremento dei periodi siccitosi e un complessivo innalzamento delle temperature che, accompagnato al notevole aumento dei giorni molto caldi (temperature sopra ai 35°), fa sì che la domanda di acqua per gli usi umani sia sempre in aumento, soprattutto d’estate. In Toscana, negli ultimi 20 anni abbiamo avuto ben 5 emergenze idriche, dichiarate dal Presidente del Consiglio o dal Presidente della Regione. Significa che ogni 3-4 anni potremo avere difficoltà di approvvigionamento idrico almeno in parte della regione. Con l’elevata vocazione turistica dei nostri territori e con ben tre distretti industriali fortemente idrovori come il tessile (Prato), il cuoio (S. Croce e S. Miniato) e la carta (Lucca), non possiamo permetterci il lusso di restare senz’acqua o limitare la fornitura, come purtroppo succede in alcune zone del Sud Italia».
La Toscana ha aree di grandi invasi superficiali o sotterranei? Tutti i territori della regione hanno un buon rendimento dal punto di vista idrico, o ci sono zone in sofferenza?
«La Toscana attualmente si approvvigiona da due grandi invasi posti nell’area centro-orientale, cioè l’invaso di Bilancino, che rifornisce la piana di Firenze-Prato-Pistoia, e l’invaso di Montedoglio, al servizio delle province di Arezzo e Siena. Poi, possiamo contare su due falde molto importanti: quella lucchese al servizio di Lucca, Pisa e Livorno; quella dell’Amiata, al servizio della provincia di Grosseto. La Toscana è ricca di acqua, ma i punti di approvvigionamento sono lontani dalle grandi aree urbane, dove si concentra il consumo. Per questo motivo abbiamo bisogno di grandi infrastrutture idriche (acquedotti di medio-grandi dimensioni per trasportare la risorsa da dove si trova a dove serve). La sfida per i prossimi anni è proprio quella di completare questi schemi acquedottistici, realizzare importanti interconnessioni tra gli acquedotti esistenti e garantire che ogni centro importante sia servito da più fonti idriche, in modo che nessuna zona possa restare senza acqua in caso di prolungati periodi siccitosi».
Al momento siete all'avanguardia in Italia per quanto riguarda la produzione di risorsa idropotabile da acqua di mare. Sono sufficienti gli impianti che avete attualmente, o punterete anche in futuro sui dissalatori?
«I dissalatori sono una fonte di approvvigionamento di grande importanza per le nostre isole e per le aree costiere, cioè per quei territori che presentano importanti flussi turistici. La risorsa del mare è virtualmente infinita e non dipende dall’andamento delle piogge, quindi rappresenta una fonte sicura e stabile. Ovviamente, occorre prestare molta attenzione alle possibili criticità del processo di dissalazione, in primo luogo l’elevato consumo di energia elettrica per realizzare l’osmosi inversa, cioè il processo chimico che rimuove i sali contenuti nell’acqua di mare.
Attualmente, gli impianti più moderni in corso di realizzazione in Italia, tra i quali quello in fase di completamento all’Isola d’Elba, consumano circa 2-2,5 kwh per ogni metro cubo di acqua potabile, e ciò rappresenta un costo economico e ambientale di cui tener conto per individuare il giusto mix di fonti di approvvigionamento per servire le aree costiere e le Isole dell’arcipelago toscano. Tuttavia, teniamo conto che anche l’acqua che arriva all’Isola d’Elba dalla terraferma presenta elevati costi di trattamento e di pompaggio. Per non parlare, poi, dell’intrusione del cuneo salino nelle falde della Val di Cornia, dalle quali arriva circa il 50% dell’acqua utilizzata nell’Isola d’Elba. Insomma, la dissalazione non è la panacea di tutti i mali, ma rappresenta sicuramente una fonte di approvvigionamento da utilizzare per garantire un sicuro approvvigionamento delle aree a forte vocazione turistica estiva».
La Toscana è uscita ormai dalle procedure di infrazione dell'Unione europea, in relazione alle acque reflue. Quanto tempo e quante risorse ci sono volute per allacciare tutti al servizio di fognatura e depurazione?
«Lo sforzo messo in campo dai gestori del servizio idrico integrato della Toscana per il superamento per tutti i 66 agglomerati urbani interessati dalle procedure di infrazione europee ha richiesto alcune centinaia di milioni di euro tra nuove condotte fognarie, nuovi depuratori e/o potenziamento di depuratori esistenti. Gran parte di tale sforzo è ricaduto sulle tariffe degli utenti toscani, anche se negli ultimi anni, grazie al Pnrr, siamo riusciti ad intercettare quasi 40 milioni di euro di contributi a fondo perduto per il completamento delle opere necessarie al definitivo superamento delle procedure europee. Grazie a questi interventi, gli scarichi delle aree urbane principali e degli agglomerati superiori a 2.000 abitanti sono collettati ai depuratori e, grazie a questi ultimi, vengono trattati e restituiti all’ambiente secondo i parametri previsti dalle direttive europee. Per esempio, la città di Firenze già da alcuni anni è depurata al 99% dei propri scarichi e ciò ha un grande impatto sulla qualità del fiume Arno e sull’ambiente circostante».
Avete ricevuto un quantitativo importante di risorse economiche con i fondi del Pnrr. A che punto siete con i progetti finanziati?
«I lavori proseguono secondo i programmi previsti dai progetti finanziati con i fondi del Pnrr; in particolare, oltre agli interventi per le fognature e depurazione di cui parlavo prima, una grande parte dei fondi Pnrr è destinata alla ricerca e riduzione delle perdite idriche delle nostre condutture. Dal 2018 al 2023 abbiamo risparmiato oltre 40 milioni di metri cubi all’anno, grazie a questo sforzo per la riduzione delle perdite idriche, anche se resta ancora molto da fare. Entro il 2026, anno in cui dovranno essere ultimati gli interventi finanziati dal Pnrr, potremo portare in molte aree del nostro territorio il livello di perdite al di sotto del 30%, portandoci decisamente verso standard europei e riducendo fortemente i prelievi di acqua dall’ambiente».
Il Pnrr è stato utile a mettere in campo ulteriori infrastrutture per il servizio idrico integrato, o soltanto a coprire i progetti già previsti e alleggerire le bollette degli utenti?
«Grazie ai fondi del Pnrr siamo riusciti a cogliere entrambi gli obiettivi: realizzare opere già in programma senza pesare sulle tariffe e anticipare opere che, se finanziate solo con le tariffe, sarebbero state realizzate molto più avanti nel tempo. Insomma, il Pnrr ha rappresentato una grande opportunità per il settore idrico italiano e, in Toscana, siamo riusciti a cogliere tale opportunità intercettando oltre 280 milioni di euro per investimenti da realizzare entro il 2025-26».
Siete la regione in Italia col costo più alto della bolletta. Può spiegare i motivi di questo primato?
«Sicuramente sono molti i fattori che determinano un livello più elevato delle tariffe idriche toscane, rispetto ad altre aree del Paese. Innanzitutto, il territorio toscano, con le sue caratteristiche geomorfologiche e la distribuzione territoriale della popolazione, rende molto più complesso, e quindi più costoso, distribuire acqua potabile o raccogliere e depurare gli scarichi, soprattutto rispetto a grandi aree urbane come quelle di Roma o Milano. Si pensi, al proposito, che il territorio servito da Acquedotto del Fiora, ricompreso nelle province di Siena e Grosseto, presenta uno dei livelli di densità abitativa più bassa d’Italia e ciò sicuramente influisce sui costi di produzione del servizio e quindi sulle tariffe.
Inoltre, dal 2012 ad oggi le aziende toscane hanno investito tutti gli anni importi significativamente superiori alla media italiana: nel 2023 le aziende toscane hanno investito oltre 100 euro ad abitante all’anno, a fronte di una media nazionale di 65: poiché gli investimenti sono quasi interamente ricaduti sulle tariffe (a parte la recente parentesi del Pnrr), ciò spiega perché le nostre tariffe risultano mediamente superiori a quelle italiane. Questo sforzo è ricaduto sulle spalle degli utenti ma, sebbene pagare tariffe più alte non faccia piacere a nessuno, gli utenti toscani si sono adeguati riducendo fortemente gli sprechi idrici, contribuendo così a cogliere un altro importante obiettivo ambientale.
Una famiglia media toscana consuma poco più di 100 metri cubi all’anno, mentre in altre aree del Paese si arriva anche a 150; in tal modo, l’effettiva spesa in bolletta delle famiglie toscane è del tutto simile a quella delle altre famiglie italiane, riducendo il loro impatto sul portafoglio oltre che sull’ambiente».
Lei è uno dei massimi esperti italiani in regolazione e tariffe. Crede che progetti di ripubblicizzazione dell'acqua siano possibili e possano restare efficienti per il servizio idrico integrato?
«Io credo che non esistano modelli sicuramente e necessariamente superiori ad altri. La scelta della forma di gestione, come d’altra parte richiede la legge, deve essere effettuata caso per caso sulla base della situazione di partenza del servizio, sullo sforzo finanziario ed industriale da mettere in campo per aumentare gli standard di servizio. Nei territori in cui si parte da situazioni gestionali e del servizio più arretrate, appare indispensabile un ruolo di stimolo e di impulso dei privati, sia per fornire il necessario know how gestionale sia per sostenere lo sforzo finanziario iniziale.
Nei territori in cui, invece, c’è maggiore capacità gestionale le aziende possono anche essere interamente pubbliche, allo scopo di restare più vicine alle esigenze e alle aspettative del territorio. Una cosa però ritengo davvero importante: in un settore strategico e molto regolamentato come quello idrico, soprattutto risulta fondamentale il buon funzionamento della regolazione. Gli enti di governo d’ambito, sotto la guida e le direttive di Arera, devono diventare sempre più soggetti capaci di esercitare la regolazione locale: devono accrescere sempre di più le loro capacità tecniche e professionali e la loro autonomia rispetto alle aziende di gestione, aumentando la loro indipendenza senza rinunciare alla capacità di venire incontro alle esigenze dei territori rappresentati».
a cura di Alessandro Agostinelli
