Inquinamento dell’aria, in Italia il più alto numero di decessi attribuiti all’impatto del particolato fine
Gli impatti sulla salute e sull’ambiente derivanti dall’esposizione all’inquinamento atmosferico rimangono elevati in tutta Europa. E in questo scenario già poco rassicurante, l’Italia si aggiudica la maglia nera di Paese con il maggior numero di morti attribuite all’elevata presenza nell’aria di Pm2.5, ovvero le polveri sottili costituite da particelle aventi dimensioni uguali o minori di 2,5 micron, tanto microscopiche quanto nocive per la salute. Entrambi i dati emergono dalla lettura di uno studio realizzato dalla European environment agency dal titolo ‘Harm to human health from air pollution in Europe: burden of disease status 2024’. Quasi 240 mila decessi all'anno nell'Unione europea possono infatti essere attribuiti all'esposizione al particolato fine, secondo l'ultima valutazione dell'impatto sulla qualità dell'aria dell'Agenzia europea dell'ambiente, pubblicata oggi mentre le nuove norme dell'Ue dedicate a queste tematiche entrano in vigore. Gli ultimi dati confermano anche, ancora una volta, che gli europei rimangono esposti a concentrazioni di inquinanti atmosferici considerevolmente superiori ai livelli raccomandati dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Il report presenta anche dei tiepidi segnali di miglioramento, ma ancora insufficienti per far fronte all’attuale situazione rispetto a tre inquinanti atmosferici fondamentali (particolato fine, biossido di azoto e ozono. Tra il 2005 e il 2022, il numero di decessi nell'Ue attribuibili al particolato fine, o PM2,5, è diminuito del 45%, facendo registrare un passo avanti per raggiungere l'obiettivo di riduzione del 55% delineato nel piano d'azione Ue net zero per il 2030.
La direttiva aggiornata sulla qualità dell'aria, entrata in vigore oggi, va in questo senso, tuttavia l'inquinamento atmosferico continua ad essere il principale rischio per la salute ambientale per gli europei (seguito da altri fattori come l'esposizione al rumore, alle sostanze chimiche e i crescenti effetti delle ondate di calore legate al clima sulla salute), causando malattie croniche e morti attribuibili, specialmente nelle città e nelle aree urbane.
Secondo le ultime stime dell'Agenzia europea per l’ambiente, almeno 239.000 decessi nell'Ue nel 2022 sono stati attribuibili all'esposizione all'inquinamento da particolato fine (Pm2.5) superiore alla concentrazione raccomandata dall'Oms di 5 µg/m3. Inoltre, 70.000 decessi sono attribuibili all'esposizione all'inquinamento da ozono (O3) e 48.000 decessi dovuti all'esposizione all'inquinamento da biossido di azoto (NO2).
Queste morti si sarebbero potute evitare soddisfacendo i valori guida dell'Oms nel 2022, sottolinea il rapporto che, per quanto riguarda l’Italia, segnala il numero di decessi record registrati dovuti all’impatto del particolato fine. In una tabella con approfonditi dati nazione per nazione si legge infatti che nel nostro Paese ci sono state 48.600 morti attribuite all’impatto di Pm2.5, ponendoci sul poco invidiabile podio delle maggiori perdite, davanti a Polonia (34.700 vittime da inquinamento dell’aria) e Germania (32.600). Un dato, tra l’altro, evidenziato già nei mesi scorsi dall’Istat in un’indagine da cui emergeva che in Italia un singolo inquinante atmosferico uccide 15 volte di più di tutti gli incidenti stradali. Un dato, inoltre, che dovrebbe convincere a intervenire su settori ben noti, considerando che sappiamo quali sono le principali fonti di provenienza per le polveri sottili, ovvero riscaldamento degli edifici, allevamenti e trasporti stradali.
Lo studio dell’Eea, inoltre, segnala che l'inquinamento atmosferico ha anche un impatto negativo sulla natura. Un briefing separato realizzato dall’Agenzia con il titolo "Impatti dell'inquinamento atmosferico sugli ecosistemi in Europa", esamina come la vegetazione sia esposta ai principali inquinanti atmosferici e come ciò si traduce in resa delle colture e perdite economiche.
Il briefing dell’Eea ha infatti rilevato che l'azoto presente nell'aria, che si deposita sugli ecosistemi, aumenta il carico di nutrienti (eutrofizzazione) portando a cambiamenti nella struttura e nella funzione dell'ecosistema (cambiamenti nelle specie vegetali che possono crescere in un'area). In particolare, il 73% degli ecosistemi nell'Ue era al di sopra dei carichi critici per l'eutrofizzazione nel 2022.
Il piano d'azione Ue per il net zero include l'obiettivo di ridurre l'area degli ecosistemi in cui la deposizione di azoto supera i carichi critici del 25% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. È attualmente improbabile che questo obiettivo sia raggiunto, poiché è diminuito del 13% tra il 2005 e il 2022.
Inoltre, circa un terzo dei terreni agricoli europei è stato esposto a concentrazioni di ozono a livello del suolo superiori al valore soglia fissato per la protezione della vegetazione ai sensi delle norme dell'Ue. Ciò ha comportato danni alle colture, rendimenti ridotti e perdite economiche stimate di almeno 2 miliardi di euro. L'ozono danneggia le foreste e le piante riducendo i tassi di crescita, abbassando i raccolti e influenzando la biodiversità. Nel 2022, il 62% della superficie forestale totale nei paesi membri ha superato i livelli critici stabiliti per proteggere le foreste dall'ozono.
Anche in questo caso, un apposito focus sui singoli Paesi dell’Ue mostra quanto l’Italia paghi il fatto di non accelerare sulle necessarie misure volte a ridurre l’inquinamento da polveri sottili. «Le perdite di resa delle colture dovute all'esposizione all'ozono a livello nazionale nel 2022 sono state stimate in una perdita del 5,98% della resa del grano e una perdita del 4,47% della resa delle patate – si legge nella documentazione fornita dall’Eea riguardo il nostro Paese – Ciò rappresenta una perdita economica di circa 36 milioni di euro per il grano e circa 13 milioni di euro per le patate».