
Usa e getta riutilizzabili? Legambiente: poche e fuorvianti informazioni sulle confezioni dei prodotti

«La vendita dei prodotti presentati come riutilizzabili, ma considerati usa e getta, è un gran pasticcio che alimenta la produzione di plastica tradizionale, contraddicendo l’obiettivo della direttiva europea, e mette a rischio la filiera industriale delle bioplastiche in Italia». La denuncia arriva da Legambiente, che ha appena pubblicato i risultati di un’indagine condotta su scala nazionale dal titolo “Usa&getta o riutilizzabile? Facciamo chiarezza!”. L’associazione ambientalista ha deciso di accendere un focus sulla questione perché sono passati ormai tre anni dall’entrata in vigore in Italia della direttiva europea Sup (Single use plastics, entrata in vigore a livello comunitario nel 2019 e da noi è stata recepita con il decreto legislativo n. 196 dell'8 novembre 2021, entrato in vigore il 14 gennaio 2022). Legambiente sottolinea che il paradosso denunciato è frutto anche della mancata definizione del concetto di «riutilizzabile» nella direttiva e nel decreto legislativo di recepimento. «Al Governo Meloni – dice l’associazione – indichiamo tre priorità: definire il concetto di “riutilizzabile” nel decreto legislativo 196/2021; stabilire le informazioni che è obbligatorio riportare su questi prodotti avviando campagne di sensibilizzazione mirate; mettere in campo un piano di monitoraggio dei flussi di prodotti in plastica monouso e dei prodotti riutilizzabili immessi sul mercato».
Ma cosa è emerso nel dettaglio dall’indagine condotta dal «cliente misterioso» di Legambiente? Andiamo a leggere. Nei primi sei mesi del 2024, il Cigno verde ha preso in esame un campione di 317 prodotti - 57% piatti, 27% bicchieri, 12% posate e 4% coppette, vaschette e vassoi - appartenenti a 70 marchi diversi di produttori e presenti in oltre 60 di punti vendita (supermercati, casalinghi e negozi di prossimità) con l’obiettivo di verificarne proprio le informazioni presenti sulle confezioni. Un’impresa non semplice, come sanno gli stessi consumatori, perché spesso a mancare sulle confezioni dei prodotti sono proprio quelle informazioni più basilari sul riutilizzo come il numero di lavaggi massimi, la modalità di lavaggio (se a mano o in lavastoviglie), le temperature massime consentite per il lavaggio, se i materiali sono idonei all’uso in microonde o al forno e relative temperature di utilizzo, eventuali certificazioni.
Ebbene, su 317 prodotti attenzionati dall’indagine, il 38% non specifica il numero di lavaggi massimi o consigliati. Fatto paradossale dato visto che la peculiarità di questi oggetti sta proprio nella loro riutilizzabilità e le informazioni chiare e coerenti circa il loro lavaggio sono un primo tassello fondamentale per poterlo fare. Altre lacune sono state riscontrate anche nelle informazioni sulla modalità di utilizzo: solo l’8% dei prodotti riporta la possibilità del loro uso sia in lavastoviglie sia al microonde. Più specificatamente, nel caso del lavaggio, nel 25% dei casi non è specificato se i prodotti possono andare in lavastoviglie e, laddove specificato, nel 60% dei casi non viene indicata la temperatura e la modalità di lavaggio.
Rispetto all’utilizzo del prodotto nel microonde, è riportato solo nel 30%ndei casi (circa un prodotto su tre) ma nel 43% dei casi in cui è esplicitato – anche in questo caso - è assente l’informazione sulla temperatura. Per l’utilizzo del prodotto nel forno tradizionale solo in un campione su due viene esplicitata l’impossibilità di farne uso.
Altro “buco nero” segnalato dall’indagine di Legambiente riguarda le certificazioni riportate sulle confezioni: almeno una è presente solo nel 35% dei prodotti (110 su 317) e nel 70% dei casi non riguardano la riutilizzabilità ma altri aspetti (certificazione di qualità dell’azienda, gestione ambientale, sicurezza sul lavoro, l’Haccp); solo il 30% dei certificati (55 su 183) riguarda la «resistenza meccanica al lavaggio in lavastoviglie degli utensili per uso domestico» che rappresenta, però, una condizione necessaria ma non sufficiente per definire il riutilizzo.
Disinformazione anche sull'origine dei prodotti: sebbene l’83% sia di origine europea (di cui il 77% prodotto in Italia), viene spesso riportato ambiguamente solo il fatto che il prodotto è importato e distribuito in Italia e nel 5% dei casi l’informazione sull’origine del prodotto è assente. Rispetto alla tipologia del materiale, i prodotti - composti per il 56% da Polistirene o Polistirolo (PS06) e 32% da Polipropilene (PP05) - riportano informazioni generiche che si riferiscono sia al materiale del prodotto che del packaging (o solo di uno o dell’altro), mentre nel 5,7% non viene specificata. Inoltre, ben il 19% dei prodotti non offre indicazioni sulle modalità di conferimento del materiale a fine vita per la raccolta differenziata.
«Con questa nostra indagine - dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente - abbiamo voluto accendere un faro su un paradosso tutto italiano rispetto alla direttiva Sup, che mette a rischio l’obiettivo di ridurre l’uso della plastica usa e getta e minaccia seriamente la leadership della filiera nazionale della chimica verde e delle bioplastiche. Chiediamo al Governo Meloni di colmare il vuoto normativo creato dalla direttiva europea e dal decreto legislativo 196/2021 per evitare che i vecchi prodotti monouso in plastica, messi alla porta dalla normativa comunitaria, rientrino dalla finestra, cambiando solo il nome, da “usa e getta” a “usa e getta riutilizzabile”».
«Nella lotta alla plastica monouso - aggiunge Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente - l'Italia non deve abbassare la guardia, ma anzi moltiplicare il suo impegno per la sua riduzione. Sforzi necessari visto che questi prodotti rappresentano ancora il 56% del totale dei rifiuti monitorati nel 2024 sulle nostre spiagge secondo i dati dell’indagine ‘Beach litter’».
Oltre all’indagine nei punti vendita, è stata condotta anche un’indagine online su siti di vendita per intercettare prodotti usa e getta «riutilizzabili» meno diffusi nella grande distribuzione organizzata. In entrambi i casi una prima parte dell’indagine ha fatto luce sulle caratteristiche generali dei prodotti (tipologia di prodotto, paese di produzione, materiale, indicazioni per il corretto conferimento tra i rifiuti una volta finito il loro utilizzo) e una seconda parte sulle caratteristiche che dovrebbero assicurare la riutilizzabilità di questi manufatti (numero di lavaggi massimi, modalità di lavaggio, temperature massime consentite per il lavaggio, uso in microonde o del forno e relative temperature di utilizzo, eventuali certificazioni).
