Qualità dell’aria, via libera alla nuova direttiva Ue ma l’Italia potrebbe posticiparla di 10 anni
Il Consiglio dell’Ue ha adottato ieri in via definitiva la nuova direttiva sulla qualità dell’aria (Aaqd), proposta dalla Commissione europea nell’ottobre 2022 e ormai prossima alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale: a quel punto gli Stati membri, tra cui l’Italia, avranno a disposizione fino a due anni per recepirla nella legislazione nazionale.
Si tratta di una direttiva che stabilisce nuovi standard contro l’inquinamento atmosferico da raggiungere entro il 2030, avvicinando gli standard europei alle linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e diminuendo così la mortalità dovuta alla cattiva qualità dell’aria che respiriamo, dato che ancora oggi circa «300.000 morti premature in Europa ogni anno sono dovute all'inquinamento atmosferico», come sottolinea lo stesso Consiglio Ue.
«È un passo nella giusta direzione – commenta Margherita Tolotto dell’Ufficio europeo per l'ambiente, che raggruppa le principali associazioni ambientaliste europee – dopo due anni di negoziati, gli Stati membri si sono impegnati a intensificare i loro sforzi per combattere l'inquinamento atmosferico. Questa è una grande vittoria per la nostra salute e per l'ambiente. Ora è il momento di indirizzare le energie verso una rapida trasposizione e attuazione in modo da garantire la conformità ai nuovi standard di qualità dell'aria entro il 2030 al più tardi».
La direttiva introduce infatti nuovi limiti di emissione per vari inquinanti atmosferici, tra cui particolato (PM10 e PM2,5), biossido di azoto (NO2), biossido di zolfo (SO2), monossido di carbonio (CO), piombo (Pb), benzene (C6H6) e ozono (O3).
Un’importante novità riguarda la possibilità per i cittadini europei di chiedere un risarcimento per i danni alla loro salute nei casi in cui le norme dell'Ue sulla qualità dell'aria non vengono rispettate nel proprio Paese: «Gli Stati membri – evidenzia nel merito il Consiglio – devono garantire che i cittadini abbiano il diritto di richiedere e ottenere un risarcimento quando la loro salute è stata danneggiata a causa di una violazione delle norme sulla qualità dell'aria stabilite nella direttiva».
In teoria si tratta di un importante passo in avanti per un Paese come l’Italia, che in base ai dati più aggiornati dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) detiene il poco onorevole record europeo per morti europee da inquinamento atmosferico: ben 46.800 decessi all’anno da PM2.5, 11.300 da NO2 e 5.100 da O3.
Negli ultimi decenni la qualità dell’aria nel nostro Paese ha continuato a migliorare, ma non abbastanza; anzi, i progressi stanno rallentando dato che, come certifica Ispra, si «registra una sostanziale stabilità dei livelli di Pm10 e Pm2,5 rispetto a quanto osservato negli ultimi 3-4 anni.
I settori dove sarebbe più urgente intervenire, per lenire gli impatti sulla salute, sono già chiari. Sappiamo infatti da dove arriva l’inquinamento atmosferico: le principali fonti di provenienza per le polveri sono riscaldamento degli edifici, allevamenti e trasporti stradali; per il biossido d’azoto, il traffico veicolare; per l’ozono, trasporto su strada, riscaldamento e produzione di energia.
Anche dal punto di vista geografico la situazione è alquanto chiara, dato che 9 dei 14 centri urbani più inquinati d’Europa sono nelle regioni del nord Italia. Eppure come sottolineano gli ambientalisti di Cittadini per l’aria, proprio «dalle regioni più inquinate della Pianura Padana, ossia Lombardia, Emilia Romagna Piemonte e Veneto» è arrivata una richiesta – accolta nella nuova direttiva Ue – che potrebbe consentire, a certe condizioni, di ottenere un rinvio fino a 10 anni del termine del 2030 previsto per il rispetto dei nuovi target sulla qualità dell’aria.
«L’Italia è da troppi anni dalla parte sbagliata della storia sul tema della qualità dell’aria – osserva Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’aria – Le misure sono poche, incoerenti e cronicamente tardive. L’attenzione data a questo tema nonostante la gravità della situazione nel nostro Paese è minima e rincorre non la necessità di tutelare la popolazione ma quella di evitare le infrazioni europee. Prova ne sia il decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, secondo in un anno, ora in fase di conversione alla Camera dei deputati che, tentando nuovamente di chiudere le numerose procedure di infrazione sulla qualità dell’aria pendenti nei confronti del nostro Paese, mette sul tavolo pochi fondi, che verranno messi a disposizione prevalentemente fra vari anni e l’ennesimo tavolo sull’aria. Chiediamo di ascoltare la scienza e dare finalmente una svolta alle politiche sulla qualità dell’aria, mettendoci subito a lavorare con l’obiettivo di rispettare i nuovi limiti, evitando proroghe che rappresenterebbero una sconfitta per il Paese e i suoi cittadini; continuare a mettere in atto le azioni viste fino ad oggi non porterà alcun beneficio al nostro Paese, privandolo al contrario del beneficio alla salute della popolazione, all’economia, all’ambiente».
Sia chiaro, al proposito, che i maggiori sforzi per ripulire l’aria che respiriamo sarebbero a carico delle regioni padane ma non solo. Prendendo però in esame i valori proposti dalla nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria a partire da 2030 (20 µg/mc per il Pm10, 10 µg/mc per il Pm2.5 e 20 µg/mc per l’NO2), l’ultimo rapporto Mal’aria elaborato da Legambiente informa infatti che ad oggi il 50% delle città italiane risulterebbe fuorilegge per l’NO2, il 69% per il Pm10 e l’84% per il Pm2.5.