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Dal 2012 il mercato Eu Ets ha generato proventi per 15,6 miliardi di euro

Ecco come l’Italia (non) sta usando i fondi provenienti dal mercato europeo della CO2

Leonardi: «Questi fondi non possono andare dispersi in misure emergenziali come nel 2021-22, permetterebbero a famiglie e imprese di investire in tecnologie alternative alle fonti fossili»
 |  Nuove energie

Dopo vari slittamenti è atteso per questo venerdì l’esame, in Consiglio dei ministri, di un provvedimento del Governo per limitare il caro bollette derivante dalla dipendenza del nostro Paese dal gas fossile, anche se niente all’orizzonte lascia pensare che questa dipendenza verrà intaccata. Tra le misure in ipotesi c’è invece quella di fare cassa attingendo ai proventi delle aste generate dal mercato europeo per le emissioni di CO2 (Eu Ets).

Il funzionamento dell’Ets è semplice, e si basa sul principio del “cap and trade”. Annualmente viene fissato un tetto che stabilisce la quantità massima che può essere emessa dagli impianti che rientrano nel sistema, ed entro questo limite le imprese possono acquistare o vendere quote in base alle loro esigenze. Una quota dà al suo titolare il diritto di emettere una tonnellata di CO2: le imprese che non ricevono quote di emissione a titolo gratuito o per le quali le quote ricevute non sono sufficienti a coprire le emissioni prodotte, devono acquistare le quote di emissione all’asta. Viceversa, chi ha quote di emissioni in eccesso rispetto alle emissioni prodotte, può venderle, stimolando l’innovazione e la competitività.

L’equilibrio tra la domanda e l’offerta di questi permessi determina il prezzo della CO2 (pari oggi a circa 75 euro per tonnellata emessa), mentre i proventi delle aste Ets vengono già ora messi in disponibilità dei singoli Stati, che sono chiamati a investirne almeno il 50% per azioni legate al clima e alla transizione ecologica.

Tutto questo però in Italia non sta avvenendo. Secondo un nuovo studio pubblicato oggi dal think tank climatico Ecco, tra il 2012 e il 2024 le aste hanno generato proventi per l’Italia da 15,6 miliardi di euro: solo il 9% di questi fondi è stato destinato a contrastare i cambiamenti climatici (contro il 50% previsto per legge); il 42% dei fondi provenienti dalle aste 2012-13 è stato speso dopo oltre un decennio; ci sono ampi dubbi sull’efficacia della destinazione dei 3,6 miliardi di euro utilizzati tra il 2021 e il 2022 per ridurre i costi delle bollette.

«L’Eu Ets garantisce entrante importanti per le casse dello Stato. Nei prossimi cinque anni si stima che l'Ets1 possa generare proventi tra i 27 e i 33 miliardi di euro – spiega Matteo Leonardi, direttore e co-fondatore di Ecco – Questi fondi non possono andare dispersi in misure emergenziali, come accaduto durante la crisi gas del 2021-22. Tali ricavi possono offrire un contributo significativo nel finanziamento delle politiche della transizione. Permetterebbero a famiglie e imprese di investire in tecnologie alternative a quelle alimentate dalle fonti fossili, con conseguenti vantaggi in termini di competitività e sicurezza nei mercati, al riparo dalla volatilità di un mercato del gas che si è dimostrato profondamente instabile e volatile».

È quanto sostiene in parallelo anche Legambiente, che inquadra correttamente le varie misure emergenziali per tenere artificialmente basso il prezzo dei combustibili come sussidi alle fonti fossili: si parla di risorse per 84 miliardi di euro solo nel 2022-23, quando investendone appena 20 avremmo potuto installare 13,3 GW di nuovi impianti rinnovabili e soddisfare così la metà del fabbisogno elettrico domestico italiano, abbattendo così i costi per le famiglie.

«Per un Paese come l'Italia, caratterizzato da un limitato spazio fiscale, l'uso efficiente ed efficace dei proventi delle aste Eu Ets rappresenta un'opportunità per finanziare la transizione energetica, ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e garantire la competitività delle imprese», sottolinea nel merito Chiara di Mambro, direttrice strategia Italia e Europa di Ecco. A maggior ragione in vista dell'introduzione dell'Eu Ets 2 nel 2027, dato che si stima un ulteriore afflusso di circa 40 miliardi di euro, di cui 7 miliardi destinati al Fondo sociale per il clima per proteggere le fasce più vulnerabili della popolazione dalla cosiddetta povertà energetica.

«L’Italia non può permettersi di sprecare i soldi per la transizione e l’autonomia energetica, due obiettivi importantissimi per il Paese e per le famiglie italiane – commentano nel merito con una voce sola Legambiente, Wwf e Greenpeace – Mentre nel dibattito sul caro-bolletta si sente spesso evocare la proposta di usare i fondi Ets, in realtà quei soldi, destinati ad assicurarci in modo permanente proprio dal caro bolletta vengono sprecati o usati per finalità opposte. Poi si usa la carenza di fondi come motivo, o meglio scusa, per ritardare la transizione, il delitto perfetto».

Che fare, dunque? In vista dell'entrata in vigore dell'Eu Ets 2 nel 2027 (con l’ingresso di settori chiave come edilizia, trasporti, imprese medio-piccole) e delle modifiche all'Eu Ets 1 (che copre settori come quello elettrico, l’industria energivora, i comparti aerei e navali, arrivando a riguardare circa il 40% delle emissioni climalteranti europee), Ecco propone alcune raccomandazioni:

  • migliore pianificazione della spesa, allineando le strategie di sviluppo socioeconomico del Paese con gli obiettivi clima nella cornice del Piano nazionale energia e clima (Pniec);
  • migliore trasparenza e tracciabilità attraverso l’introduzione di un sistema pubblico di monitoraggio della spesa e rendicontazione dettagliata dell'impiego dei fondi;
  • snellimento delle procedure amministrative per accelerare l'attribuzione e l'utilizzo dei proventi, garantendo maggiore tempestività ed efficienza nella spesa pubblica;
  • integrazione dell'Ets 2 nelle strutture fiscali e parafiscali delle tariffe, al fine di raggiungere una coerenza dei prezzi finali dei diversi vettori energetici (elettricità, gas, diesel e benzina) rispetto agli obiettivi di sostenibilità economica per imprese e famiglie, prevedibilità del gettito e obiettivi di transizione.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.