Sussidi ambientalmente dannosi a quota 78,7 miliardi di euro, Legambiente: ecco dove tagliare
Nonostante sia un obbligo di legge, il Governo Meloni ha smesso di aggiornare i dati nazionali sui sussidi ambientalmente dannosi (Sad) garantiti dallo Stato – nel 2021 ammontavano a 22,4 miliardi di euro, in base alle stime ministeriali – ma sul punto resta vigile l’occhio di Legambiente, che ha appena pubblicato un rapporto d’aggiornamento incentrato sui dati 2023: nell’ultimo anno, stima il Cigno verde, i Sad hanno toccato quota 78,7 miliardi di euro. Una cifra pari al 3,8% del Pil nazionale, che cresce fino a 383,4 mld di euro guardando agli ultimi 13 anni.
Rispetto alla stima elaborata sempre da Legambiente per il 2022 il dato è in calo, ma si tratta di un trend legato semplicemente alla riduzione delle risorse stanziate per far fronte all’emergenza energetica negli anni passati.
È infatti utile ricordare che i sussidi ai combustibili fossili, ovvero la larghissima maggioranza dei Sad, si suddividono in espliciti e impliciti. I primi rappresentano spese governative dirette a tenere artificialmente bassi i prezzi in favore dei consumatori, come nel caso dei sussidi contro il caro energia, mentre i secondi sono una sottostima dei costi ambientali e sociali dei combustibili fossili (le cosiddette esternalità negative) e rinunce alla tassazione sul loro consumo. Sul totale incidono soprattutto i sussidi impliciti, come certifica anche il Fondo monetario internazionale, stimando che l’Italia abbia garantito sussidi ai combustibili fossili per 63 miliardi di dollari nel solo 2022.
Scendendo nel dettaglio del rapporto legambientino, è possibile osservare più da vicino la natura dei Sad italiani, suddivisi in 119 voci. Tra i settori più interessati, al primo posto si conferma quello energetico: 43,3 miliardi di euro, con una crescita rispetto all’anno precedente della componente non emergenziale (da 8 a 10 miliardi di euro). Tra questi, oltre ai favori al settore delle trivellazioni (canoni e royalty inadeguate, esenzioni) e al Capacity market, a preoccupare di più sono i sussidi pubblici di Sace e Cdp che, solo nel 2023, hanno messo a disposizione di infrastrutture a fonti fossili ben 6,4 miliardi di euro.
Segue il settore dei trasporti (12,45 miliardi di euro), dove le voci più critiche rimangono il differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio da 3,1 miliardi di euro (sul quale sia il Governo Meloni sia le forze d’opposizione si sono incartate nel dibattito politico avviato a ottobre), Gpl e metano (3,6 miliardi di euro) e le agevolazioni fiscali per auto aziendali (1,2 miliardi di euro).
L’elenco continua col settore edilizia (18 miliardi di euro, un aumento di 1 mld rispetto al 2022), che prosegue nel finanziamento delle caldaie a gas andando contro ben due direttive europee; il comparto agricolo (3,2 miliardi di euro) e infine canoni, concessioni e rifiuti (1,6 miliardi di euro).
Ma a pesare è anche la voce dei sussidi emergenziali, che rientrano tra i sussidi espliciti: nel 2023 sono stati elargiti 33 miliardi di euro per il settore energetico e 374 milioni di euro per il settore trasporti. Si arriva a un totale di 84 miliardi di euro in due anni, che avrebbero potuto essere impiegati in modo migliore per contenere i costi energetici di cittadini e imprese: «Se investiti per solo un quarto (20 miliardi) in rinnovabili, avrebbero portato – calcola Legambiente – a circa 13,3 GW di nuova potenza installata e una produzione di 30 TWh di energia pulita; pari al fabbisogno di 12 milioni di famiglie e la metà del fabbisogno elettrico domestico italiano, con un risparmio annuo di 4 miliardi di metri cubi di gas».
Che fare? Per il Cigno verde il Governo dovrebbe iniziare subito a tagliare i Sad a partire dalla voce delle trivellazioni considerando che, nel 2023, le mancate entrate dovute all’inadeguatezza dei canoni e del pagamento di tasse del settore oil&gas rispetto a quelle di altri Paesi, aggravate dalle esenzioni dalle royalties e i tetti massimi per i canoni (nuovo sussidio introdotto un anno fa), sono pesate 642 milioni di euro sulle casse dello Stato. Altra voce è quella del Capacity market: nel 2023 i sussidi a centrali fossili sono valsi 1,17 miliardi. Da eliminare anche i sussidi alle caldaie a gas: nel 2022 687.532 quelle installate con un supporto statale pari a 4,2 miliardi tra ecobonus, superbonus e bonus casa. A finire nel mirino di Legambiente anche gli oneri di sistema, che aggravano di ulteriori 9,5 miliardi il peso delle spese energetiche sulle famiglie e che necessitano di una riforma, eliminando i sussidi diretti e spostandoli sulla fiscalità generale. In evidenza, infine, la necessità di riformare le accise e le tasse sui diversi combustibili fossili in modo che il costo finale medio annuale sia progressivamente proporzionale alle emissioni di gas serra (CO2eq) generate nella loro combustione.
Complessivamente, dei 78,7 miliardi euro in Sad individuati da Legambiente per il 2023, per l’associazione ambientalista è possibile intervenire eliminando subito almeno 25,9 miliardi di euro, inserendo nel Pniec e nella legge di Bilancio in discussione un percorso concreto che porti ad una strategia concreta di rimodulazione e cancellazione di tutti i sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030.
«In piena Cop29 e durante la discussione parlamentare della legge di Bilancio 2025, il Governo Meloni imbocchi la strada giusta – commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – con un impegno serio sul clima e una giusta e rapida transizione energetica verso un futuro libero dalle fossili; smettendo di finanziare un modello energetico sbagliato, basato su gas, carbone e petrolio e di puntare su rigassificatori, Cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs) e il nucleare facendo gli interessi delle lobby del fossile. Non è vero, come ha dichiarato la premier alla Cop29, che non c’è alternativa, questa esiste già. Dirotti al più presto risorse nella direzione dell’innovazione, dell’efficienza energetica e sulle reti e sugli accumuli e rinnovabili, semplificando i processi autorizzativi, con l’obiettivo del 91% di copertura delle fonti rinnovabili nel settore elettrico entro il 2030 e del 100% entro il 2035».
È indispensabile però sottolineare che eliminare i sussidi ambientalmente dannosi non è un’operazione indolore sotto il profilo sociale – in quanto in molti casi i prezzi dei carburanti aumenterebbero, ricadendo sui cittadini –, rendendola di fatto insostenibile senza un impiego socialmente equo del gettito e una rimodulazione complessiva del carico fiscale sulla cittadinanza.
Gran parte della cosiddetta fiscalità verde tende infatti, senza interventi correttivi, ad essere regressiva ovvero a colpire maggiormente le fasce più deboli della società. Al contempo, è noto che anche il sistema fiscale italiano (indipendentemente dalle misure per la transizione ecologica) è regressivo, in netto contrasto con quanto stabilito dell’art. 53 della Costituzione, favorendo di fatto i più ricchi con aliquote inferiori rispetto ai meno benestanti..
Non a caso 134 economiste ed economisti italiani hanno recentemente sottoscritto un Manifesto a supporto di un’agenda Tax the rich per l’Italia, chiedendo di assicurare un maggiore prelievo a carico dei membri più facoltosi della nostra società.
L’unica risposta sensata alla cancellazione dei Sad sta dunque nella facoltà dello Stato impiegare il gettito aggiuntivo per compensare le famiglie più vulnerabili, direttamente o investendo in servizi pubblici, mettendo al contempo in campo una più profonda riforma fiscale in senso progressivo, in modo che siano i più ricchi – i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra – a pagare i costi della crisi climatica.
Nel frattempo gli ambientalisti non restano con le mano in mano: domani sabato 16 novembre, alle ore 15, in Piazza Vittorio a Roma si terrà il Climate Pride: una mobilitazione nazionale che darà vita a una street parade, promossa da Legambiente insieme a 50 associazioni e movimenti, che si inserisce in un contesto di mobilitazioni globali durante la Cop29 per chiedere ai decisori politici mondiali un impegno concreto per la transizione ecologica.