Mar Nero, volontari ed esperti lottano contro il disastro ambientale dopo l’affondamento delle petroliere
Il naufragio delle due petroliere nello Stretto di Kirch era chiaro, da subito, che poteva essere etichettato come un "disastro ambientale", tanto è vero che ha rilasciato, stimate per difetto, almeno 3.700 tonnellate di olio combustibile pesante (heavy fuel oil), stando alle valutazioni fatte da Greenpeace. Questo prodotto, conosciuto come “mazut”, presenta caratteristiche di alta densità e viscosità e ha ricoperto specchi acquei e lunghi tratti costieri, causando una devastazione diffusa.
I video che facilmente si trovano in rete mostrano maree nere, spiagge chiazzate di catrame e fauna selvatica gravemente colpita i cui ultimi esemplari sopravvissuti lottano per sopravvivere. L'impatto ambientale percepibile va ben oltre la contaminazione immediata in quanto l’olio combustibile denso, a differenza degli idrocarburi più leggeri, è difficile da recuperare e può persistere nell'ambiente per diversi anni; gli esperti sono concordi nel prevedere che i suoi effetti sugli ecosistemi marini, sulla pesca e sugli habitat costieri saranno gravi e profondi, con danni a lungo termine e pesanti ricadute sulla biodiversità.
L’emergenza in atto, segnalata da molti volontari che sono accorsi sul teatro delle operazioni, mette in risalto l’assenza di sufficienti risorse governative locali: i volontari sono intervenuti per cooperare con le autorità locali impegnate nello sforzo di pulizia lungo la costa, soprattutto in vicino della località turistica di Anapa, sulle rive del Mar Nero. Questa specie di “Armata Brancaleone” dispone soltanto di pale e strumenti rudimentali, e da diversi giorni sta lavorando instancabilmente per contenere l'impatto enorme causato della fuoriuscita. Malgrado la loro generosità, i loro sforzi sono superati dalla portata del disastro.
Riportiamo le parole di uno dei volontari in una intervista rilasciata ad un’Agenzia di stampa comunitaria: "Le autorità locali non stanno affrontando la situazione, non hanno le risorse per questo; una tale catastrofe non può essere sconfitta con le pale!"
A questo punto occorre dispiegare tutte le attrezzature specialistiche e includere le esperienze ed i tecnici del settore disponibili in campo internazionali per poter affrontare adeguatamente la devastante crisi ambientale che ha colpito quell’area del Mar Nero.
A questo punto, mi chiedo e chiedo alle Autorità internazionali perché non è stato proclamato lo stato di emergenza ambientale come da “Black Sea Contingency Planning for Marine Oil Spill”, sottoscritto nel 1992 dai sei Paesi che si affacciano nel Mar Nero (Turchia, Russia, Romania, Ucraina, Bulgaria e Georgia) con la conseguente attivazione delle risorse previste nello stesso piano operativo di emergenza; chiedo inoltre all’Europa unità perché non sono state forniti i mezzi e gli strumenti stoccati nello EAS (equipment assistance services) di Varna (Bulgaria), pieno zeppo di tutti gli strumenti necessari per portare avanti una vera ed incisiva azione di contenimento dell’inquinante.
Cosa ancora si sta aspettando per organizzare una vera e propria missione internazionale che dia sostegno e supporto tecnico alle autorità e ai volontari impegnati in una battaglia veramente difficile e complessa. L’ambiente marino colpito da questo gravissimo inquinamento, paragonabile soltanto ai casi Erika (1999) e Prestige (2002), bisogna sentirlo come nostro; a nostro avviso, occorre una mobilitazione larga e di adeguato livello professionale che vada ben oltre il generoso slancio dei ragazzi volontari che sono accorsi sul posto; a questo punto non è più differibile sviluppare un’efficace azione di contenimento, contrasto e bonifica che noi europei, per esperienza diretta, storia marittima e cultura tecnica, siamo in grado di poter dare.