Economia circolare, l’Italia è virtuosa ma in base a parametri Ue da rendere più efficaci
L’associazione nazionale che rappresenta le imprese attive lungo la filiera dell’economia circolare, Assoambiente, ha presentato oggi a Rimini – nell’ambito di Ecomondo – una nuova analisi intitolata Misurare la circolarità dei Paesi Ue, che pur partendo dai record italiani conquistati in materia riconosce che questi si basano su parametri europei bisognosi di un aggiornamento per inquadrare meglio le realtà dei singoli Paesi.
Sono tre in particolare gli indicatori finiti sotto i riflettori: il tasso di riciclo per rifiuti urbani e speciali, che indica quanta parte di tali rifiuti viene effettivamente riciclata in appositi impianti industriali (ma non quanta ritorna davvero sul mercato sotto forma di materia prima seconda); il tasso di circolarità, che misura la quota di materiale riciclato usato sul totale delle materie prime utilizzate da un Paese; l’indice di produttività nell’uso delle risorse, che indica la quantità di Pil prodotta da un Paese con un kg di materia utilizzata.
Guardando al tasso di riciclo per i rifiuti urbani «l’Italia nel 2021 (ultimi dati Eurostat) ha raggiunto quota 51,9%, superando il target del 50% previsto al 2020», afferma Assoambiente, anche se poi nel luglio di quest’anno la Commissione Ue ha avviato una procedura d’infrazione (anche) verso il nostro Paese proprio perché non ha «raggiunto entro il 2020 l'obiettivo del 50% per quanto riguarda la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti urbani». Difatti i nuovi dati Ispra aggiornati al 2022 parlano di un tasso di riciclo dei rifiuti urbani pari al 49,2%.
Osservando invece al più importante totale dei rifiuti solidi (urbani e speciali) il Belpaese, con il suo 85,6% misurato da Eurostat, è primo assoluto nella classifica dell’avvio a riciclo, davanti al Belgio. Anche su questo fronte però non mancano i problemi: ancora oggi non sappiamo neanche – come denunciano da tempo Legambiente e gli imprenditori della filiera – quanti rifiuti della maggiore frazione generata ogni anno, quelli da costruzione e demolizione, vengano effettivamente reimmessi sul mercato. Per dare un’idea del gap di cui si parla, secondo i dati Ispra il tasso di riciclo per i rifiuti da costruzione e demolizione si attesta nel 2021 all’80,1% (al di sopra dell’obiettivo Ue del 70%), ma le stesse imprese di settore rappresentate da Anpar e Nadeco informano che «poco più della metà dei rifiuti riciclati oggi viene effettivamente utilizzato».
Passiamo all’indice di produttività nell’uso di risorse, forse il meno problematico tra quelli sotto osservazione: nel 2023 l’Italia si è collocata al secondo posto in Europa con 4,3 euro di Pil generato per kg di materie prima impiegata, dietro ai soli Paesi Bassi con 5,8, come ricorda sempre Assoambiente. Pure su questo fronte è necessario però richiamare i dati Istat sui flussi di materia, i quali c’informano che l’Italia consuma oltre 500 mln di tonnellate di materie prime l’anno, il dato più alto da almeno un quinquennio.
Per contrappasso concludiamo infine con l’indicatore potenzialmente più fuorviante, quello di circolarità o meglio il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo (Cmu) reintrodotto nelle produzioni industriali: l’Italia è al 18,7%, il dato peggiore dal 2016 ma comunque ben oltre la media Ue e dietro solo a Paesi Bassi (27,5%), Belgio (22,2%) e Francia (19,3%). Il problema, nella struttura di questo indicatore, è che «l’indice di circolarità tiene conto non solo dal tasso di riciclo dei rifiuti, ma comprende anche i combustibili fossili usati e il materiale stoccato in manufatti e beni. Per questo motivo le percentuali risultano così basse», sottolinea Assoambiente. In altre parole si stima che, come già spiegato sulle nostre pagine da Andrea Sbandati, se anche l’Italia riciclasse tutti i suoi rifiuti, paradossalmente il tasso di circolarità così calcolato non potrebbe salire oltre il 20,5%.
«L’eccellenza del nostro Paese – commenta Chicco Testa, presidente di Assoambiente – va ben oltre i dati evidenziati dagli indicatori europei, che oggi andrebbero sottoposti a un tagliando in quanto, soprattutto su alcuni di essi incide in maniera significativi l’utilizzo o meno di combustibili fossili, che poco hanno a che fare (non essendo recuperabili) con l’indice di circolarità di un Paese. Misurare in maniera corretta la circolarità di uno Stato può fare la differenza tra subire o meno una procedura d’infrazione, con tutti i costi e gli effetti che questa comporta».
Sullo sfondo di un contesto così ingarbugliato resta la razionalità della proposta avanzata dalla Federazione europea per la gestione dei rifiuti (Fead) prima delle elezioni Ue di quest’anno, per chiedere al legislatore europeo – e dunque anche a quelli nazionali – una politica industriale in materia di economia circolare, che sappia partire da dati chiari per supportare davvero lo sviluppo della filiera, mettendo in campo anche i necessari incentivi per sostenere l’impiego dei materiali riciclati, a partire dalla plastica. Incentivi ad oggi di fatto assenti nel nostro Paese.