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L’intervista a Chiara Braga, presidente del Gruppo Pd alla Camera dei deputati

Serve un Green deal dal cuore rosso per far avanzare la transizione ecologica

«Occorre rendere ancora più efficaci le misure per accompagnare la lotta alla crisi climatica, con un forte sostegno al sistema economico e al mondo del lavoro»
 |  Interviste

Dalle elezioni europee Fratelli d’Italia è uscito come partito vincitore ma ha perso 700mila voti rispetto alle politiche del 2022, mentre il Pd con Elly Schlein alla guida ne ha raggranellati 200mila in più sul territorio nazionale: la crescita maggiore dopo l’exploit di Alleanza Verdi Sinistra, anche se la partecipazione dei cittadini al voto è sempre più bassa.

Cosa lascia in eredità il risultato delle urne? Dopo l’intervista al leader Verde di Avs, Angelo Bonelli, l’abbiamo chiesto a Chiara Braga, già responsabile nazionale Ambiente del Partito democratico e oggi presidente del Gruppo Pd alla Camera dei deputati.

Intervista

Qual è il messaggio colto dal Partito democratico dagli esiti di questa doppia tornata elettorale, europea e amministrativa?

«Sicuramente un messaggio di stimolo a continuare lungo la strada che abbiamo tracciato da un anno e mezzo a questa parte. Dopo le elezioni politiche eravamo in un momento di oggettiva difficoltà; credo che la guida di Schlein abbia dato una spinta positiva nel rafforzare l'identità e la chiarezza del messaggio del Partito democratico, con la volontà di lavorare su temi molto concreti e comprensibili dai cittadini.

Naturalmente c'è ancora molto da fare, ma abbiamo già sostanzialmente dimezzato la distanza rispetto a Fratelli d'Italia e vogliamo continuare a costruire giorno dopo giorno un quadro in cui le forze di opposizione – quando saranno insieme, e sottolineo quando – siano una maggioranza alternativa alla destra».

In Francia i partiti della sinistra e i verdi stanno lavorando alla costruzione di un “Nuovo fronte popolare”, per presentarsi uniti contro l’estrema destra alle prossime elezioni. Il campo largo italiano riuscirà mai a fare lo stesso, superando i contrasti interni?

«Io mi auguro di sì e in fondo qualche dato uscito da queste elezioni ci ha dato elementi utili su cui ragionare, ad esempio il Pd è il partito che è cresciuto di più in termini di consenso insieme ad Avs; si tratta dei partiti che hanno avuto un approccio più unitario in questi mesi e quindi percepiti come quelli più interessati a costruire un fronte alternativo a chi oggi governa il Paese. Credo che abbia pesato anche la chiarezza dei messaggi che abbiamo dato sui temi della lotta alla crisi climatica e della transizione ecologica.

Chi invece ha cercato di costruirsi del consenso anche con, diciamo così, distinguo o conflittualità maggiore verso i suoi potenziali alleati, mi pare non abbia avuto segnali particolarmente incoraggianti dalle elezioni».

Come si aspetta cambieranno adesso gli equilibri politici dell’Unione europea, e con quali impatti sul Green deal? La legge sul ripristino della natura è stata adottata, ma il tema della transizione ecologica è ormai nel mirino delle destre.

«Preoccupa molto la forte avanzata dell’estrema destra soprattutto in Paesi come Francia e Germania, ma è positivo che non ci sia stato uno stravolgimento dell’equilibro politico complessivo: i partiti di estrema destra, che lavorano per indebolire l’Ue, non saranno dunque determinanti nell’Europa che dovremo costruire in questa legislatura.

Per il Partito democratico ovviamente è importante sia il risultato ottenuto dal gruppo dei Socialisti e democratici, sia il fatto che il Pd sia diventata la prima delegazione nel gruppo a livello Ue.

In termini di politiche pubbliche, comprese quelle che ci stanno più a cuore, ovvero quelle legate alla transizione giusta, credo occorra rendere ancora più efficaci le misure per accompagnare la lotta alla crisi climatica con un forte sostegno al sistema economico e al mondo del lavoro, ad esempio rafforzando il Fondo per la transizione giusta e mettere in campo una vera politica industriale europea, che faccia capire come portare avanti la transizione ecologica sia anche un grande vantaggio economico per i lavoratori e per le imprese».

Dunque le politiche a favore del Green deal andranno avanti?

«Non credo il Green deal sia una variabile in discussione, perché la crisi climatica presenta un conto sempre più salato e solo una grave mancanza di lungimiranza potrebbe smontarlo: credo anche che chi ha creduto di fermare la politiche a contrasto del cambiamento climatico alla fine resterà deluso.

Il Green deal adesso va attuato, siamo alla fase d’implementazione ma non si tratta di un passaggio scontato. Servono convinzione e volontà politica, ma anche il rafforzamento delle condizioni che permettono alla transizione ecologica di non essere vissuta come un’imposizione ma come una grande occasione di crescita anche economica e occupazionale.

Questo vale in maniera particolare per l'Italia, che è un grande Paese manifatturiero e deve essere dunque ancora più interessato degli altri a capire come cambiare la propria industria in una direzione più sostenibile: il cambiamento sta già arrivando e non possiamo fermarlo, dobbiamo farci trovare pronti, l’Europa e l’Italia non possono permettersi di lasciare la leadership sulla transizione ecologica ad altri attori globali».

Da ultimo anche l’Istat documenta che i cittadini sono sempre più preoccupati dalla crisi climatica. Allora perché votano in maggioranza partiti inazionisti o del tutto negazionisti?

«Penso che la contraddizione ci sia, ma fino a un certo punto. I partiti negazionisti e dell’estrema destra che hanno messo nel mirino il Green deal lo fanno evocando e cavalcando le paure dei cittadini sia verso il cambiamento climatico, sia su quale sarà il futuro modello di sviluppo. La strategia politica si basa dunque sulla paura pensando così di rallentare così gli obiettivi climatici, un approccio del tutto controproducente.

La differenza sta proprio qui: noi dobbiamo essere capace di tenere insieme obiettivi ben chiari, che poggiano sulle conoscenze scientifiche a disposizione, migliorando al contempo gli strumenti di policy per non lasciare davvero indietro nessuno nella transizione. Non a caso uno degli slogan della famiglia socialista è stato quello del Green deal dal cuore rosso, evidenziando la necessità di una transizione ecologica che abbia a cuore anche le ricadute economiche e sociali.

In un contesto simile è fondamentale promuovere un’informazione corretta, obiettiva ma corretta, che non enfatizzi soltanto i rischi della crisi climatica ma anche le opportunità della transizione ecologica».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.