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Siccità, cattiva gestione dell’acqua e del territorio: la Sicilia è la California di casa nostra

Come segnala il Wwf, l’isola presenta tutti gli effetti drammatici della crisi climatica. Nel 2024, anno più caldo mai registrato, ci sono stati 1.288 incendi. Allevamento e agricoltura i settori più colpiti
 |  Crisi climatica e adattamento

Siccità e cattiva gestione delle risorse idriche e del territorio. Era inevitabile che divampassero le fiamme. E non c’è da stare tranquilli per il futuro. Parliamo della California? No. Parliamo della Sicilia. 

Come ricorda il Wwf Italia, in questi ultimi dodici mesi riconosciuti come i più caldi mai registrati, l’Isola ha pesantemente subito gli effetti della crisi climatica. È vero che parte svantaggiata, perché sorge nel cuore di un hot spot climatico (Ipcc dixit) come il Mediterraneo. Ma a questa condizione di particolare vulnerabilità si sono aggiunte negli anni una serie di responsabilità umane, alcune di carattere globale (utilizzo di combustibili fossili con conseguente aumento dell’effetto serra e innalzamento della temperatura media), altre di carattere prettamente locale, a cominciare dal modo fallimentare in cui si sarebbe dovuto tutelare, monitorare, utilizzare un bene prezioso come l’acqua dolce.

Nell’estate dell’anno più caldo mai registrato, la siccità ha colpito duramente la Sicilia, ma il problema non è stato soltanto la mancanza di precipitazioni, quanto il fatto che nonostante il trend meteo e idrologico fosse ben noto da tempo (il dato del deficit idrico già nel 2022 era di -81,7% rispetto al trentennio 1991-2020), non sono stati portati a termine o anche soltanto avviati gli opportuni interventi sulle infrastrutture idriche. E sì che questo territorio, come segnala sempre il Wwf facendo il parallelo tra quel che sta accadendo oltreoceano e la «Los Angeles italiana», ospita ben 47 invasi con capacità che arriva a circa 1,1 miliardi di metri cubi di acqua. Il problema? È che di questi soltanto 30 sono in esercizio (in alcuni casi solo parzialmente). Sottolinea il Panda nazionale: «Il volume complessivo autorizzato era di 997 milioni di cui 289 non utilizzabili per mancata manutenzione ed inefficienze varie. L’Autorità di bacino ha previsto 12 interventi da realizzare su altrettanti invasi per un totale di 55.405.000 euro che consentirebbero di rimuovere 903.270 metri cubi di sedimenti». Ed ecco che la condizione siccitosa ha favorito gli incendi: «Solo nel 2024 ne sono stati registrati 1.288, un aumento significativo rispetto ai 509 dello stesso periodo del 2023, che aveva visto andare in fumo 51.000 ettari di territorio. Le cause principali includono cambiamenti climatici, ondate di calore, siccità, e incendi dolosi». Mancanza di precipitazioni, invasi non utilizzabili e incendi hanno prodotto effetti devastanti su agricoltura e allevamento. Ma non poche difficoltà sono state vissute anche dai cittadini di Palermo, che la scorsa estate sono andati avanti per settimane con l’acqua razionata, e da molti altri Comuni più o meno grandi che, tra l’altro, pagano perdite idriche nella fase di immissione nella rete idrica che arrivano a oltre la metà del totale (51.6% per 339,7 metri cubi d’acqua).

Tra l’altro, a fronte di tutto questo, appena sono tornate le piogge, i siciliani hanno dovuto affrontare nuovi problemi, perché questo territorio che già deve fare i conti con diversi fattori di vulnerabilità è stato reso ancor più fragile dal perdurante consumo di suolo. Sottolinea il Wwf: «La Sicilia deve diventare un modello della decarbonizzazione, visto quanto rischia di perdere se non viene attuata. Inoltre, serve un piano d’azione per prevenire i danni, un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici su scala regionale, come peraltro previsto anche dal Pnacc, che possa mettere a sistema la pianificazione legata alle risorse idriche (Piano gestione acque, Piano alluvioni…), all’agricoltura sfruttando le possibilità della Pac. Necessario promuovere azioni di ripristino degli ecosistemi, come peraltro richiesto dalla Nature restoration law, e dei servizi ecosistemici, per ridurre la vulnerabilità del territorio ed aumentarne la resilienza. Un ruolo fondamentale lo possono svolgere le Nature based solutions che possono essere promosse per la ricarica delle falde, ad esempio attraverso Aree forestali d’infiltrazione e il recupero delle aree di esondazione naturale dei fiumi, recuperando le fasce fluviali». La conclusione dell’associazione ambientalista chiama in causa non solo le amministrazioni locali ma anche Roma: «C’è molto da fare e c’è la necessità di grandi investimenti per rendere il nostro territorio resiliente. E in questo quadro l’ostinazione del Governo a investire sul Ponte sullo stretto risulta completamente anacronistica».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.