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Sulle pagine Arpat il focus sul ruolo dell’Università di Firenze nel progetto Minosse

L'Arno scarica in mare 18 tonnellate di rifiuti plastici l’anno: ecco da dove arrivano

Solari: «Nei bacini idrografici le zone di produzione dei rifiuti di plastica sono costituite dalle aree agricole e dalle aree industriali ed urbane»
 |  Toscana

L’inquinamento da plastica rappresenta una sfida sempre più urgente da affrontare, tant’è che l’Onu sta lavorando per arrivare alla firma di un trattato globale entro la fine di quest’anno; la sfida riguarda da vicino sia l’Europa (dove la Eea ha appena certificato che l’economia circolare della plastica è ancora chiamata a compiere parecchi passi in avanti) sia la Toscana, dove si stima che il solo fiume Arno riversi nel Mediterraneo 18 tonnellate di rifiuti plastici all’anno.

Il dato emerge dal progetto nazionale Minosse (ManagIng plastic traNspOrt in riverS and coaStal arEas), finanziato dal ministero dell’Università e presentato oggi sulle pagine dell’Arpat con l’intervento di Luca Solari, docente dell’Ateneo fiorentino.

Le microplastiche si classificano principalmente primarie (rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle, rappresentano il 15-31% di quelle disperse in mare) e secondarie (prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi come buste di plastica, bottiglie o reti da pescato, sono il 68-81% di quelle presenti in mare).

Secondo i dati messi recentemente in fila dall’Europarlamento il 35% delle microplastiche primarie deriva dal lavaggio di capi sintetici, il 28% dall’abrasione degli pneumatici durante la guida, mentre il 2% è composto dalle microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo, che l’Italia per prima ha iniziato a bandire sin dal 2019.

Nel suo ultimo rapporto, anche la Eea ha aggiornato i propri dati in materia, affermando che le principali fonti di microplastiche rilasciate involontariamente nell’ambiente arrivano – nell’ordine – da vernici, abrasione dei pneumatici, pellet e tessuti.

E nel caso toscano? «Nei bacini idrografici – spiega Solari su Arpat le zone di produzione dei rifiuti di plastica sono costituite dalle aree agricole e dalle aree industriali ed urbane. Nelle aree agricole, la letteratura mostra un importante contributo associato alle coltivazioni di tipo estensivo ed alle attività vivaistiche con valori fino a 4 Kg/ha all’anno. Nelle aree industriali ed urbane le principali fonti sono gli impianti di depurazione e gli scaricatori di piena. Gli impianti di depurazione scaricano particelle di microplastica nell’ordine di 35 Kg/giorno con un importante contributo rappresentato dalle fibre derivanti dal lavaggio domestico dei tessuti. Gli scaricatori fognari di piena, durante gli eventi di pioggia intensi, riversano direttamente nei corsi d’acqua le acque provenienti dal dilavamento delle strade che tipicamente risultano cariche di plastica derivante dall’abrasione dei pneumatici sull’asfalto, dalle polveri dei freni, dal deterioramento della segnaletica stradale».

Nel caso del Mar Mediterraneo, le stime della plastica totale accumulata sono di 1.178.000 tonnellate, con un intervallo da 53.500 a 3.5460.700 t; questa elevata incertezza è dovuta anche al fatto che finora la ricerca si è concentrata principalmente sulla plastica accumulata sulla superficie del mare, che costituisce meno dello 0,1% dello stock totale.

«La comprensione dei percorsi di sedimentazione dei detriti di plastica verso le aree di accumulo invisibili (alveo fluviale, area costiera o fondo marino) rappresenta un aspetto essenziale – sottolinea Solari – per monitorare l’impatto dell'inquinamento della plastica nell’ambiente e per formulare delle opportune strategie di mitigazione, recupero e riciclaggio dei detriti di plastica. Al fine di giungere a delle stime meno incerte delle quantità di macro- e micro- plastica trasportate ed accumulate nei fiumi verso le aree costiere ed il mare aperto, risulta indispensabile effettuare dei monitoraggi di campo».

Redazione Greenreport

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