Senza Piano nazionale, i dragaggi sostenibili nei porti italiani sono fermi
Il legislatore all’art. 6-bis del Dl 77/2021 introduce (meglio dire introdurrà) il “Piano nazionale dei dragaggi sostenibili”, tramite emanazione di un decreto interministeriale dei ministeri dell’Ambiente e dei Trasporti, di concerto con quello della Cultura.
Ma l’emanando Piano nazionale – di cui ancora non c’è traccia – ha radici assai lontane, risalendo niente meno che all’art. 184 quater del Testo unico ambientale. Un’attesa lunghissima, nonostante il legislatore abbia posto proprio nel Piano il caposaldo per poter raggiungere tre obiettivi fondamentali per il Paese, i seguenti.
Il primo obiettivo: al fine di consentire lo sviluppo dell’accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici e la manutenzione degli invasi e dei bacini idrici, tenendo conto delle disposizioni del decreto adottato ai sensi dell’articolo 114, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, entro sessanta giorni dalla data d’entrata in vigore della legge di conversione del relativo decreto, i già citati ministeri – previa intesa in sede di Conferenza unificata – approvano il “Piano nazionale dei dragaggi sostenibili”, anche sulla base della programmazione delle Autorità di sistema portuale e delle Regioni, con particolare riferimento ai programmi finanziati dal Pnc e di ulteriori risorse europee, nazionali, regionali e delle Autorità di sistema portuale. Ai fini della tutela dell’ambiente marino, il Piano è attuato tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 109 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Il secondo obiettivo: le attività di dragaggio nelle infrastrutture portuali del territorio nazionale e nelle acque marino-costiere sono interventi di pubblica utilità e indifferibili e urgenti e costituiscono, ove occorra, variante al piano regolatore portuale e al piano regolatore del sistema portuale.
Il terzo obiettivo: l’autorizzazione alle attività di dragaggio è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. Il rilascio dell’autorizzazione avviene con provvedimento conclusivo della conferenza dei servizi e costituisce titolo alla realizzazione dei lavori, in conformità al progetto approvato. Il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni. Resta ferma la disciplina del procedimento di valutazione d’impatto ambientale, laddove richiesta.
Alla luce di quanto precede, la modifica normativa in esame, introdotta all’art. 184-quater del Testo unico ambientale comporta, come più volte detto, la predisposizione di un decreto che adotti specifiche norme tecniche che disciplinino le opzioni di «riutilizzo dei sedimenti di dragaggio e di ogni loro singola frazione granulometrica secondo le migliori tecnologie disponibili».
Al riguardo, si ritiene che il nuovo decreto – atteso dai ministeri dell’Ambiente e dei Trasporti – debba andare necessariamente ad intervenire, modificandoli, sui due regolamenti approvati nel 2016, ovvero i decreti ministeriali 15 luglio 2016, n. 172 e 173, che rappresentano la cornice tecnico normativa entro la quale si svolgono attualmente i dragaggi dei porti italiani.
Francamente dopo tre anni dal Dl 77/2021 si sente da più parti il bisogno di riordinare ed approvare il Piano nazionale, per dare nuovo slancio all’intero settore della portualità italiana; infatti, tutti gli operatori portuali chiedono a gran voce l’approvazione di un Piano che possa rendere i dragaggi rapidi e sostenibili, che va salutato quale strumento di semplificazione veramente capace di trasformare la gestione dei sedimenti portuali da rifiuti a materiale “end of waste” e capace pertanto di essere reintrodotto quale materiale da riutilizzare, in linea con i principi dell’economia circolare.