Rinnovabili, ambientalisti e industriali uniti contro i decreti Aree idonee e Agricoltura
La lezione del 2022, quando l’impennata dei costi energetici ha pesato sul portafogli di imprese e cittadini italiani per oltre 100 mld di euro – e le fonti rinnovabili ne hanno fatti risparmiare 25 – sembra già dimenticata, insieme agli impegni internazionali siglati dall’Italia per far avanzare rapidamente la transizione energetica.
Il connubio del decreto sulle Aree idonee proposto dal Governo Meloni – che venerdì scorso ha ottenuto il via libera dalla Conferenza unificata – e il decreto Agricoltura che lo ha preceduto rischiano concretamente di frenare ulteriormente l’installazione di nuovi impianti rinnovabili.
«Il ministro Pichetto Fratin, al recente vertice G7 su energia e clima che si è svolto a Torino, ha fatto dichiarazioni sulla volontà da parte dell’Italia di triplicare entro il 2030 le installazioni delle rinnovabili. Ciò significa, se la matematica non è un’opinione, realizzare circa 140 GW di nuovi impianti in 7 anni, 20 GW all’anno – ricorda nel merito Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento Free – Già oggi siamo fuori rotta rispetto alle previsioni del Pniec, che peraltro continua a non tenere in conto gli obiettivi del RePowerEu. L’anno scorso è stata installata nuova potenza rinnovabile per soli 5,8 GW a fronte di una necessità di almeno 10-12 GW/a, ma ora con il decreto Agricoltura di qualche settimana fa e l’accordo di venerdì scorso tra Mase e Regioni sul decreto aree idonee, invece di avere un’accelerazione, assisteremo ad una brusca frenata delle rinnovabili».
Da una parte il decreto Agricoltura ha introdotto forti limitazioni alla realizzazione degli impianti fotovoltaici a terra su terreni agricoli, a prescindere dal fatto che questi terreni siano coltivati o abbandonati o degradati. Dall’altra, l’accordo sul decreto Aree idonee non sembra salvare i procedimenti autorizzativi già in corso né fa salve le aree idonee richiamate nel decreto l.gs. 199/2021 e lascia ampia libertà alle regioni di poter modificare le aree non idonee introducendo una fascia di rispetto da siti tutelati o di particolare pregio, che può arrivare anche ad essere di 7 km. C’è dunque anche il serio rischio di avere criteri di individuazione delle aree non idonee molto diversi fra le varie regioni.
«Tradotto s’aumenta il caos normativo, quando il provvedimento sulle aree idonee avrebbe dovuto ridurlo. Questi provvedimenti, se non modificati tempestivamente – sottolinea Piattelli – causeranno inevitabilmente la riduzione delle nuove installazioni, anziché il loro aumento, e produrranno un incremento dei costi autorizzativi, burocratici e dei terreni che ricadrà nuovamente a carico di famiglie e imprese. Il Coordinamento Free, in rappresentanza di tutte le 38 associazioni che ne fanno parte protesta vivamente e ritiene sia urgente e doveroso un intervento del Governo per correggere la bozza di decreto aree idonee, arrivando ad una soluzione costruttiva e concertata con tutti gli attori chiamati a dare un contributo».
Sulla stessa linea del Coordinamento Free si posiziona anche Elettricità futura – che del Coordinamento peraltro fa parte, insieme a realtà come Legambiente, Greenpeace, Wwf, Kyoto club –, ovvero l’associazione confindustriale che rappresenta il 70% del mercato elettrico nazionale.
«Dopo oltre due anni di attesa, di confronti e proposte per risolvere il nodo delle aree idonee, Mase e Regioni trovano l’intesa su una versione del decreto che è incompatibile con l’obiettivo di installare 80 GW in meno di 7 anni indicato dallo stesso decreto – spiega su Il Sole 24 Ore Agostino Re Rebaudengo, presidente Elettricità Futura – Un provvedimento che doveva accelerare la realizzazione degli impianti in tutte le aree idonee, e lo avrebbe potuto fare dichiarando idonee tutte le aree che non avevano vincoli alla data di giugno 2022 (data in cui doveva essere pubblicato il decreto), al contrario amplia le restrizioni perché oltre i regolamenti già severi delle soprintendenze aggiunge anche la facoltà delle Regioni di aumentare fino a 7 Km la distanza da un bene tutelato. Il che può, di fatto, essendo numerosi i beni tutelati, rendere la maggior parte del territorio completamente inaccessibile per lo sviluppo delle rinnovabili».
Una complicazione tutt’altro che a costo zero. Come testimoniano istituzioni del calibro di Bce, Iea e Bei, rallentare la transizione ecologica significa aumentare i costi per cittadini e imprese, oltre che per il clima; la soluzione è a portata di mano con le fonti rinnovabili, sempre più economiche, ma col freno a mano tirato sulla normativa è impossibile dispiegarne il potenziale.