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Come cambieranno le ambizioni della Germania su energia e clima nel prossimo Governo Merz
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Saranno i due grandi perdenti alle elezioni tedesche a formare il nuovo Governo della Germania, segnando il ritorno in piccolo delle Grosse koalition tra il centrodestra di Cdu/Csu (col suo secondo peggior risultato elettorale di sempre) e il centrosinistra della Spd (che ha ottenuto il peggior risultato elettorale dal 1887).
Il candidato cancelliere di centrodestra, Friedrich Merz, ha annunciato la volontà di definire al più presto i confini della nuova maggioranza, per presentare il nuovo Governo federale al più tardi entro Pasqua, individuando già l’alleato naturale con cui provare a schierarsi: l’Spd appunto, che ha già lavorato con la Cdu/Csu in 12 dei 16 anni dei Governi Merkel.
In quella dozzina d’anni la Germania si è distinta per il varo di un'ampia gamma di politiche climatiche ed energetiche all'avanguardia, a partire dal sostegno alle fonti rinnovabili, ma ci sono poche speranze che il prossimo Governo sia più ambientalista di quello appena crollato, perché non è indispensabile che nella nuova coalizione trovino spazio anche i Verdi.
Proprio i Verdi, che hanno contenuto comunque le perdite elettorali a -3,1% rispetto al 2021, escono dal risultato elettorale con l’addio annunciato dal leader Robert Habeck; ben peggio è andata al partito dei liberali Fdp, che ha aperto la crisi di governo lo scorso novembre ma adesso è costretto a stare addirittura fuori dal Parlamento (crollando dall’11,4% al 4,3% delle preferenze raccolte).
È utile ricordare come uno dei principali nodi del contendere che ha portato alle elezioni anticipate sia stato proprio l’attrito all’interno della Coalizione semaforo – composta da Spd, Verdi, Fdp – sul rimuovere o meno il cosiddetto “freno al debito” inserito nella Costituzione tedesca nel 2009 per limitare il ricorso all’indebitamento pubblico a un massimo dello 0,35% del Pil annuo, un limite ben più parco del già frugale tetto individuato in sede Ue pari un deficit del 3% Pil: come risultato, la Germania negli ultimi 4 anni ha rinunciato a investire almeno 150 miliardi di euro, che le avrebbero invece permesso di far fronte alla crisi economica in corso.
Per rimuovere il freno costituzionale al debito, adesso non basterebbe neanche un accordo all’interno della Grosse koalition, essendo necessaria una maggioranza di due terzi al Parlamento, che potrebbe essere traguardata solo grazie al contributo dei Verdi e della sinistra di Die Linke: se questo scenario si concretizzerà potranno aprirsi possibilità ad oggi inedite anche per la transizione ecologica tedesca – e dunque europea –, altrimenti saranno più probabili timidi passi indietro che scatti in avanti.
La rotta verso la decarbonizzazione non è comunque in pericolo: sia la Cdu/Csu sia la Spd in campagna elettorale hanno confermato la volontà di puntare all’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2045, ovvero con cinque anni d’anticipo rispetto alla Ue – dato che sia le imprese che i sindacati concordano sul fatto che sia nell'interesse a lungo termine della Germania –, così come l’urgenza di investire ancora nelle fonti rinnovabili.
Anche per quanto riguarda l’energia nucleare è improbabile un cambio di rotta: la Spd è fortemente contraria alla riaccensione delle centrali, mentre la Cdu vorrebbe verificare se quelle spente per ultime potrebbero tornare a funzionare con costi ragionevoli – e scommette al contempo sulla ricerca su tecnologie futuribili come Smr e fusione –, ma la maggior parte degli esperti (compresa l’Associazione degli ingegneri tedeschi coi suoi 130mila aderenti) ha già ben chiaro che l’addio all’atomo è nell’interesse del Paese.
Assai più incerto, invece, il destino di due misure centrali come l’eliminazione graduale delle caldaie a gas dalla Germania (la Cdu si è impegnata ad abolire la controversa “legge sul riscaldamento” approvata dal Governo uscente) e lo stop ai motori a combustione decisa a livello Ue entro il 2035 (con la Spd favorevole e la Cdu che vorrebbe invertire la decisione, nonostante anche in questo caso le stesse case automobilistiche e i sindacati non vedano nel Green deal i motivi della crisi in corso nella filiera automotive). Il quadro della situazione, inevitabilmente, potrà essere più chiaro quando le trattative per la nascita della nuova, mini Grosse koalition saranno terminate.
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