
87 organizzazioni di tutto il mondo dicono no al Corridoio Sud dell’idrogeno, l’opera chiave del Piano Mattei

Una dichiarazione congiunta di 87 organizzazioni e reti della società civile internazionale chiede di non realizzare il Corridoio Sud dell’Idrogeno, una infrastruttura di 3.300 chilometri che dal Nord Africa dovrebbe arrivare in Germania, passando per l’Italia.
ReCommon Italia, che è tra le ONG promotrici, spiega che Il Corridoio è una delle opere chiave del Piano Mattei per l’Africa, fortemente voluto dal governo Meloni. La dichiarazione è stata lanciata cinquanta giorni dopo un documento congiunto dei ministri dell’Energia di Italia, Austria, Germania, Tunisia e Algeria in cui si sostiene la costruzione del gasdotto a idrogeno e nelle ore in cui il Consiglio europeo dell’Energia discute il Clean Industrial Deal, che include l’idrogeno come fonte energetica chiave. Per la coalizione di organizzazioni internazionali il Corridoio Sud dell’Idrogeno è una pericolosa estensione dell’economia dei combustibili fossili. Il Corridoio, sostenuto da Snam, dalla tedesca BayerNet e dalle austriache TAG e Gas Connect Austria, è elencato tra i Progetti di interesse comune e di mutuo interesse della Commissione europea e del Global Gateway 2025, il grande piano dell’Ue per rilanciare le infrastrutture su scala globale. È inoltre in linea con la politica RePowerEU dell’UE che inquadra le infrastrutture per il trasporto di idrogeno come necessarie per la sicurezza energetica europea, concetto che lo statement internazionale mette in discussione».
L’obiettivo dell’Ue per il 2030 è di 20 milioni di tonnellate di idrogeno, di cui 10 milioni di tonnellate dovrebbero essere importate da Paesi exstraeuropei. Il Corridoio Sud dell’Idrogeno è il primo di altri 5 corridoi europei simili che dovrebbe consentire il trasporto di 4 milioni di tonnellate di idrogeno. Il suo costo stimato non è chiaro, secondo Snam il costo previsto per la sola dorsale italiana sarà di circa 4 miliardi di euro. Le società di trasporto del gas dell’Ue che promuovono la costruzione dei corridoi di importazione verso l’Europa stimano un costo complessivo tra gli 80 e i 130 miliardi di euro. Le 87 organizzazioni firmatarie della dichiarazione chiedono ai governi, all’Ue e alle istituzioni africane di fermare gli investimenti in progetti di idrogeno su larga scala che ostacolano una transizione energetica equa e democratica per le comunità in Europa e in Africa.
Elena Gerebizza, ricercatrice e campaigner per l’energia e le infrastrutture di ReCommon, sottolinea che «Il Corridoio Sud dell’Idrogeno è la più grande infrastruttura energetica promossa dal governo italiano nell’ambito del cosiddetto Piano Mattei. Tuttavia, non si tratta di sicurezza energetica per le popolazioni europee o africane, ma di garantire una lunga vita alle infrastrutture di trasporto del gas e sussidi pubblici alle società di combustibili fossili come Snam per la loro costruzione e manutenzione. E’ funzionale a permettere il greenwashing di un modello neocoloniale ed estrattivista che rischia di aumentare il debito dei Paesi africani e di distogliere le risorse pubbliche da una transizione energetica giusta per tutte e tutti. L’Ue e la lobby fossile promuovono l’idrogeno verde come soluzione sostenibile e vantaggiosa sia per l’Ue che per i paesi del continente africano. Tuttavia la coalizione mette in guardia sul fatto che non c’è alcuna garanzia che il corridoio trasporti esclusivamente idrogeno verde o che la sua catena di produzione sia socialmente e ambientalmente sostenibile. Inoltre, il progetto rischia di esacerbare la scarsità d’acqua in regioni già vulnerabili e potrebbe mettere in difficoltà vari Paesi africani, scatenando l’instabilità sociale e sottraendo risorse ai servizi pubblici essenziali».
Siphesihle Mvundla, Campaigner per la giustizia climatica ed energetica di GroundWork, Friends of the Earth Sudafrica, spiega che «Ci opponiamo alla produzione di idrogeno verde e allo sviluppo di infrastrutture a esso collegati a causa della sua estrema inefficienza; per la sua produzione sono necessari alti volumi di elettricità e acqua a basso costo. Questo perpetua modelli estrattivisti che equivalgono a un greenwashing per conto delle industrie dei combustibili fossili, che distolgono gli sforzi nei Paesi dalla scalata critica dell’energia rinnovabile locale e di proprietà delle comunità, verso obiettivi di esportazione a beneficio dei Paesi dell’Ue che ignorano i bisogni energetici locali».
Per Saber Ammar, North Africa Program Assistant del Transnational Institute (TNI), «Mega-progetti come il Corridoio Sud dell’Idrogeno e l’ELMED (l’interconnessione elettrica tra Tunisia e Italia ndr) sono schemi neocoloniali che esternalizzano la responsabilità della decarbonizzazione sul Sud globale. Questi progetti rischiano di imprigionare i Paesi esportatori in un modello dipendente dalle emissioni di carbonio e di spostare i costi socio-ecologici, le ingiustizie collegate all’accesso a terra e acqua e le violazioni dei diritti umani, sulle comunità della periferia. Nel frattempo, i profitti e le risorse fluiscono verso i centri industriali, perpetuando un sistema ingiusto ed estrattivo».
La dichiarazione congiunta conclude: «Diciamo no perché: si tratta di un progetto neocoloniale, che perpetua lo sfruttamento e l'ingiustizia al centro del modello estrattivista nei paesi europei e africani. Si tratta di un progetto orientato ad espandere la rete infrastrutturale del gas utilizzando l’etichetta “hydrogen ready” per incanalare miliardi di euro in sussidi pubblici nella ristrutturazione del sistema di trasporto del gas in Europa invece di adottare misure concrete per smantellarlo e realizzare la totale eliminazione dai combustibili fossili entro il 2050. Sta promuovendo meccanismi di debito pubblico nei paesi africani , che sono incoraggiati a utilizzare denaro pubblico per sostenere o ridurre i rischi degli investimenti privati in infrastrutture su larga scala orientate all'esportazione che servono una domanda promessa di idrogeno verde sul mercato europeo che non si è ancora materializzata. Sta rafforzando le società europee del gas fossile , che siedono al tavolo quando si discute di politiche e infrastrutture per la sicurezza energetica a livello regionale e nazionale, sia in Europa che nei paesi africani, legittimando il loro ruolo nella definizione della transizione energetica che manterrebbe l’industria fossile al posto di guida. Sta aumentando la dipendenza delle economie europee dalle società di combustibili fossili , invece di ripensare un modello energetico ed economico basato sulla sostenibilità e sulla giustizia sociale, sulla riduzione del consumo energetico e sulla produzione di energia rinnovabile basata sulla comunità e democratica. Invitiamo i governi, l'Ue e le istituzioni africane a smettere di investire in progetti su larga scala di produzione e trasporto dell'idrogeno, che stanno bloccando la costruzione di un modello energetico equo per le comunità in Europa e in Africa».
