Dal nuovo reattore di Flamanville una lezione per la "rinascita nucleare" italiana
Nel fine settimana Électricité de France (Edf) ha effettuato la prima connessione alla rete elettrica di Flamanville 3, il nuovo reattore della centrale nucleare posta lungo la costa della Normandia.
La notizia è stata presentata da Luc Rémont, presidente e ad di Edf, come «un evento storico per l'intera industria nucleare», anche perché si è fatta attendere a lungo: si tratta del primo reattore nucleare costruito in Francia nell’ultimo quarto di secolo, ovvero dal completamento di quello a Civaux nel 1999.
Per costruire il nuovo reattore nucleare da 1,6 GW a Flamanville sono serviti 17 anni di lavori – ovvero 12 di ritardo sulle tempistiche previste – e investimenti enormi, stimati da Edf in 13,2 miliardi di euro ovvero 8.000 euro per kW, che tenendo conto degli oneri finanziari salgono a 19,1 mld di euro secondo la Corte dei conti francese (cioè circa 6 volte la stima iniziale).
Un’epopea che di fatto neanche adesso può ritenersi conclusa, in quanto la stessa Edf precisa che ora si apre la fase di test del nuovo reattore Epr, che si concluderà presumibilmente nell’estate 2025; nel mentre è già in programma il primo spegnimento per manutenzione programmata, nel 2026.
È utile ricordare che i reattori Epr erano al centro dell’iniziativa portata avanti dall’allora Governo Berlusconi per una “rinascita” del nucleare in Italia, poi fermata dal referendum del 2011. E in merito al basso prezzo dell’elettricità in Francia garantito dal nucleare, gli ambientalisti e i ricercatori riuniti nella Coalizione 100% rinnovabili network ricordano che «Edf è stata costretta a vendere energia a prezzi scontati, aumentando così il suo indebitamento che, nel 2022, ha superato i 64,5 miliardi di euro. Ecco che, di nuovo, è dovuto intervenire massicciamente lo Stato francese, tornando nel 2023, dopo 17 anni di presenza in Borsa, alla nazionalizzazione del 100% della società, con un investimento pubblico di 9,7 miliardi di euro».
L’intervento dello Stato per tenere in piedi il nucleare a spese dei contribuenti non è solo un fatto isolato alla Francia: è ormai diventata una regola a livello internazionale, anche perché l’andamento dei costi medi di generazione dell’energia elettrica delle diverse tecnologie dal 2009 al 2024 – calcolato dalla banca d’affari Lazard in termini di Lcoe – mostra importanti riduzioni per fotovoltaico utility scale (da 359 a 61 dollari a MWh, -83%) ed eolico onshore (da 135 a 50 dollari a MWh, -63%), mentre i costi del nucleare continuano a crescere (da 123 a 182 dollari a MWh, +49%). Anche considerando i costi di sistema, come fa l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) attraverso il Valcoe, l’economicità delle fonti rinnovabili rispetto al nucleare (e ai combustibili fossili) continua ad emergere in modo chiaro.
È inoltre interessante notare, come stima l’esperto indipendente Paul Neau, che nei 17 anni in cui la Francia attendeva la costruzione del reattore Epr appena entrato in funzione, i cugini d’Oltralpe hanno installato 47.5 GW di impianti rinnovabili, con una producibilità pari a 85,7 TWh, stimata pari a 9,8 volte l’elettricità che avrebbero generato nello stesso periodo i 1,6 GW aggiunti alla centrale nucleare di Flamanville.