Global gas report 2024, Snam punta a maggiori investimenti sul metano fossile
L’International gas union (Igu), l’italiana Snam e il knowledge partner Rystad Energy hanno presentato oggi alla Conferenza Ons di Stavanger la nuova edizione del Global gas report, dove a fronte di una modesta crescita della domanda globale di metano (+1,5% nel 2023) e un ampio calo in Europa (-6,3%) si paventa la necessità di maggiori investimenti sul gas fossile. Con buona pace degli scenari climatici.
«Se le attuali tendenze della domanda e dell'offerta di energia persistono, gli obiettivi al 2030 delineati negli scenari di decarbonizzazione guidati dalle politiche resteranno molto probabilmente irrealizzati», dichiarano gli autori del rapporto: «Se la domanda gas dovesse continuare a crescere come negli ultimi 4 anni, senza uno sviluppo aggiuntivo della produzione si prevede un deficit dell’offerta globale del 22% entro il 2030. Se la domanda continuerà a rafforzarsi, il deficit sarà ancora più marcato. Ciò sottolinea l'urgente necessità di aumentare gli investimenti».
Gli investimenti proposti nel dossier spaziano da quelli effettivamente sostenibili, come nel caso del biometano che «è un sostituto diretto del gas naturale» ma con una portata «significativamente inferiore al suo potenziale, pari a circa l'1% del mercato del gas naturale», spaziando poi a quelle controverse come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, fino a quelle marcatamente insostenibili come l’accrescimento dell’impiego di gas fossile.
Il rapporto rimarca infatti che il gas naturale, che oggi rappresenta il 30% del mix di combustibili fossili, è più economico e più pulito del petrolio e del carbone, ma non si sofferma nello spiegare come la sua combustione alimenti a sua volta la crisi climatica in corso, sebbene con un’intensità inferiore rispetto agli altri due combustibili fossili.
«La transizione energetica rappresenta una sfida unica nel suo genere per l'umanità. Un percorso che non sarà lineare, contrassegnato da grandi aspirazioni e molti ostacoli – commenta l’ad di Snam, Stefano Venier – dalle tensioni geopolitiche alle interruzioni tecnologiche e agli sviluppi imprevedibili dell'economia globale. In tale trasformazione in continua evoluzione, il gas naturale e le infrastrutture correlate rappresentano un elemento critico di resilienza sostenibile per il sistema energetico globale, mentre le nuove molecole verdi e a basse emissioni di carbonio svolgeranno un ruolo essenziale per realizzare una transizione giusta e tecnologicamente neutrale».
Il problema è che il gas avrebbe dovuto rappresentare il combustibile fossile di transizione verso le fonti rinnovabili, ma la transizione presentata dai player del settore sembra non finire mai. Basti osservare, per guardare al contesto nazionale, che Eni ha appena avviato l’estrazione di 10 mld di mc di gas fossile dal Canale di Sicilia, proprio mentre l’isola è riarsa dalla siccità alimentata dalla crisi climatica.
Eppure sappiamo da tempo che, per limitare il riscaldamento a +1,5°C, almeno i due terzi delle riserve conosciute di combustibili fossili dovrebbe restare sotto terra per porre un freno al cambiamento climatico.
Già tre anni fa l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), tracciando il percorso globale per arrivare ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050 – e rispettare così l’Accordo di Parigi, contenendo il surriscaldamento del clima a +1,5°C – ha confermato che «oltre ai progetti già avviati nel 2021, nel nostro percorso non ci sono approvazioni per lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e di petrolio e non sono necessarie nuove miniere di carbone o ampliamenti delle miniere già in uso». Ovvero, tutti i combustibili fossili contenuti in nuovi giacimenti devono restare dove sono, nel sottosuolo.
Un concetto ribadito nel settembre 2023 sempre da parte della Iea, che ha aggiornato la roadmap per arrivare a emissioni nette zero entro il 2050 spiegando che «non sono necessari nuovi progetti upstream di petrolio e gas».
La chiave di volta della transizione (e della sicurezza) energetica non passa infatti dal gas fossile ma dalle energie rinnovabili, chiamate a triplicare la potenza installata già entro il 2030, come peraltro stabilito nel corso della Cop28 dello scorso dicembre.