Eni ha avviato l’estrazione di 10 miliardi di metri cubi di gas nel Canale di Sicilia
La multinazionale italiana a controllo statale Eni, in joint venture con il partner Energean, ha avviato questa settimana la produzione di gas dal giacimento Argo Cassiopea, il più importante progetto di sviluppo a gas sul territorio italiano.
«Le riserve di Argo Cassiopea sono stimate in circa 10 miliardi di metri cubi di gas e la produzione annuale di picco sarà di 1,5 miliardi di metri cubi di gas – spiega Eni – Il gas, proveniente da uno dei quattro pozzi sottomarini perforati nei mesi scorsi nel Canale di Sicilia, è stato trasportato tramite una linea sottomarina di 60 km di lunghezza fino all’impianto di trattamento di Gela. Qui il gas verrà trattato e poi immesso nella rete nazionale, contribuendo a soddisfare il fabbisogno energetico italiano».
Secondo il Cane a sei zampe «la produzione avviene tramite uno sviluppo interamente sottomarino, privo di impatti visivi e con emissioni prossime allo zero», peccato però che lo stesso non si può dire per il successivo utilizzo del gas estratto: il metano di origine fossile è infatti un gas serra, che contribuisce alla crisi climatica in corso di cui proprio la Sicilia è testimone, devastata dalla siccità come dalle trombe d’aria.
Alla territorio locale resteranno delle briciole: «Grazie all’emendamento del Movimento 5 Stelle Sicilia dei deputati Nuccio Di Paola e Angelo Cambiano, i Comuni di Gela, Licata e Butera, riceveranno circa 15 milioni di euro l’anno di royalties», recita una nota di partito. Mentre in Sardegna la presidente a Cinque stelle ha imposto una moratoria fino a 18 mesi sui nuovi progetti rinnovabili, in Sicilia Di Paola e Cambiano affermano che dal progetto Eni «per le casse comunali arriverà una sicura boccata d’ossigeno con nuove somme che auspichiamo, vengano utilizzate per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Un risultato frutto del lavoro di squadra iniziato un anno e mezzo fa e di cui potranno beneficiare le comunità locali».
Di sicuro le comunità non beneficeranno delle conseguenze dei gas serra legati all’impiego dal gas fossile. La migliore opzione di sviluppo sarebbe quella di lasciare il gas fossile lì dov’è, e non estrarlo. Sappiamo infatti da tempo che, per limitare il riscaldamento a +1,5°C, almeno i due terzi delle riserve conosciute di combustibili fossili dovrebbe restare sotto terra per porre un freno al cambiamento climatico.
Già tre anni fa l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), tracciando il percorso globale per arrivare ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050 – e rispettare così l’Accordo di Parigi, contenendo il surriscaldamento del clima a +1,5°C – ha confermato che «oltre ai progetti già avviati nel 2021, nel nostro percorso non ci sono approvazioni per lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e di petrolio e non sono necessarie nuove miniere di carbone o ampliamenti delle miniere già in uso». Ovvero, tutti i combustibili fossili contenuti in nuovi giacimenti devono restare dove sono, nel sottosuolo.
Un concetto ribadito nel settembre 2023 sempre da parte della Iea, che ha aggiornato la roadmap per arrivare a emissioni nette zero entro il 2050 spiegando che «non sono necessari nuovi progetti upstream di petrolio e gas».
La chiave di volta della transizione (e della sicurezza) energetica non passa infatti dal gas fossile ma dalle energie rinnovabili, chiamate a triplicare la potenza installata già entro il 2030, come peraltro stabilito nel corso della Cop28 dello scorso dicembre.
In questo contesto le emissioni climalteranti annue di Eni già oggi sono più alte di quelle annualmente imputabili all’Italia intera. Nonostante ciò, Eni afferma di voler rispettare i target climatici, ma con una strategia che appare in netto contrasto con le indicazioni scientifiche in materia: la società ha infatti dichiarato di voler continuare ad aumentare la produzione di gas e petrolio almeno fino al 2027, coerentemente con la linea seguita finora, che ha visto il Cane a sei zampe avviare 552 nuovi progetti di sviluppo per i combustibili fossili dopo la firma dell’Accordo di Parigi sul clima.
«Dopo un'estate di ondate di calore infernali, siccità devastante e mari che sembrano terme – commenta Greenpeace Italia – continuiamo a scavare nel passato invece di investire in un futuro sostenibile».