
Dal nucleare bollette economiche in Francia? EDF è stata costretta a vendere energia a prezzi scontati

I sostenitori italiani del nucleare citano spesso il nucleare francese come esempio di successo economico. Nulla di più falso: EDF,la società francese che gestisce le centrali nucleari, è in realtà “un peso” per il sistema elettrico francese: fortemente indebitata, nonostante i consistenti aiuti pubblici, in forte difficoltà nella ristrutturazione dei suoi 56 reattori nucleari e con poche risorse disponibili per investimenti nelle rinnovabili, come scrisse Le Monde il 7 dicembre 2020, che cita invece i successi di ENEL che “prende la rivincita sui concorrenti nucleari”, raddoppiando, senza il nucleare, la sua capitalizzazione in borsa, arrivata a 84 miliardi di euro.
Di aiuti di Stato, a carico dei contribuenti, EDF ne ha avuti parecchi. A causa di agevolazioni fiscali concesse a EDF nel 1997, per esempio, la Commissione Ue ha intimato al governo francese di recuperare dalla stessa 1,37 miliardi di euro nel 2015 (ANSA 22 luglio 2015). A proposito del basso prezzo dell’elettricità in Francia: EDF è stata costretta a vendere energia a prezzi scontati, aumentando così il suo indebitamento che, nel 2022, ha superato i 64,5 miliardi di euro. Ecco che, di nuovo, è dovuto intervenire massicciamente lo Stato francese, tornando nel 2023, dopo 17 anni di presenza in Borsa, alla nazionalizzazione del 100% della società, con un investimento pubblico di 9,7 miliardi di euro.
Fra l’altro, la nazionalizzazione del 100% di EDF è stata effettuata con il “ritiro obbligatorio” dalla Borsa degli ultimi azionisti costretti a disfarsi dei propri titoli per 12 euro netti ciascuno: un prezzo basso per i piccoli azionisti, molti dei quali dipendenti di EDF che avevano scommesso gran parte dei loro risparmi sul futuro del gruppo.
Ma l’intervento dello Stato per tenere in piedi, a spese dei contribuenti, il nucleare, non è solo un fatto isolato alla Francia: è ormai diventata una regola. Scrive l’Agenzia internazionale per l’Energia (Electricity 2024 - Analysis and forecast to 2026- IEA): “Il finanziamento di progetti nucleari comporta elevati costi di capitale iniziali, che si ammortizzano in lunghi periodi di tempo. Ciò significa che la redditività di un progetto è altamente sensibile ai rischi di costruzione e al costo del capitale. Con tassi di interesse più elevati, i ritardi di costruzione possono diventare ancora più costosi attraverso l'aumento del valore del tempo. La maggior parte del rischio è associata alla fase di costruzione…Tali casi potrebbero aumentare in particolare il rischio di pagamenti di interessi provvisori dovuti durante la fase di costruzione, il che può mettere a repentaglio la fattibilità finanziaria di un progetto in corso. In pratica, i problemi di finanziamento sono stati affrontati in vari modi. Un approccio importante è attraverso il coinvolgimento di attori statali. I progetti possono essere finanziati direttamente tramite finanziamenti statali, che è il modo in cui la maggior parte dei progetti nucleari viene finanziata, ad esempio, in Cina. L'India ha preso in considerazione solo di recente la possibilità di consentire partecipazioni di minoranza private nelle operazioni nucleari, con tutti gli impianti operativi finanziati tramite fondi governativi. I governi possono anche intervenire come garanti per ridurre i costi di capitale, che era l'obiettivo dichiarato del governo degli Stati Uniti quando ha fornito garanzie per il finanziamento di Vogtle 3 e 4. Allo stesso modo, la Svezia, alla luce dei suoi annunci di espansione della sua capacità nucleare, ha già offerto garanzie di prestito per la costruzione dei nuovi siti nucleari pianificati. Gli attori statali interessati a vendere la tecnologia possono anche fornire finanziamenti ai fornitori, come ha fatto la Russia per la costruzione del reattore nucleare di Rooppur in Bangladesh o dell'impianto di El-Dabaa in Egitto, dove il Paese ha venduto la sua tecnologia e fornito strumenti di finanziamento. Il sostegno pubblico da parte dei contribuenti e del governo britannico è stato recentemente introdotto nel Regno Unito, dove il modello Regulated Asset Base… Un ulteriore pacchetto di sostegno del governo del Regno Unito (GSP) verrebbe attivato se gli sforamenti dei costi di costruzione superassero un certo livello”.
L’idea di un ritorno al nucleare, finanziato in vari modi dallo Stato, per un Paese, fortemente indebitato e con un carico fiscale già pesante per chi paga regolarmente le tasse, come l’Italia, pare del tutto irrazionale. Una scelta impegnativa per l’impiego di risorse pubbliche, limitate e scarse, dovrebbe, in ogni caso, essere, pubblicamente e in modo trasparente, discussa e non nascosta sotto il tappeto fatto con stime fantasiose su fantastici risparmi che si otterrebbero col ritorno al nucleare. Peraltro, non vi è alcuna correlazione tra la produzione nucleare e l'attività industriale, come mostra questo grafico che confronta i casi di Germania, con la progressiva uscita dal nucleare, e la Francia (elaborazione ISPI).
Ma ancora più importante è un’altra considerazione: l’esempio del parco nucleare storico francese è ormai irrilevante rispetto all’oggi. Nel passato, l’industria nucleare dichiarava che un incidente maggiore con fusione del nocciolo sarebbe stato un evento praticamente impossibile, che se ne sarebbe potuto avere al più uno ogni dieci milioni di anni di funzionamento di un reattore. Gli incidenti di Three Mile Island, Chernobyl, e Fukushima, hanno smentito quelle stime. Incidenti catastrofici si sono verificati con frequenza molto maggiore di quella prevista, e i danni sono stati tanti e tali da portare a profonde revisioni della sicurezza nucleare. Ricordiamo che i soli costi di messa in sicurezza del sito di Fukushima potrebbero essere nell’intervallo di 470 — 660 miliardi di dollari. Danni comunque contenuti rispetto al disastro maggiore sfiorato, che avrebbe comportato l’evacuazione di Tokyo. Per quanto riguarda la Francia, è stato stimato che un incidente maggiore in quel Paese potrebbe causare danni pari a 450 miliardi di euro, stima centrale nell’intervallo tra 200 e 1.000 miliardi di euro. Le aree contaminate sarebbero pari a 18.800 kmq, inclusa una zona di esclusione di 1.300 kmq. I più lunghi tempi di pianificazione e costruzione delle centrali nucleari recenti sono l’ovvia conseguenza del tenere conto di questi rischi, che invece i proponenti del nucleare omettono o sminuiscono con il ricorso a dati parziali.
