Da raffinerie a bio? Il Mase mette in campo fino a 30 mln di euro d’incentivi per ogni progetto
Nella serie generale della Gazzetta ufficiale pubblicata il 5 agosto è stato pubblicato il nuovo decreto del Mase a sostegno delle bioraffinerie, che prevede un contributo in conto capitale fino a un massimo di trenta milioni di euro per progetto d’investimento e per impresa, da utilizzare per la riconversione totale o parziale delle raffinerie tradizionali esistenti in bioraffinerie.
L’obiettivo della misura, come stabilito dal decreto 176 del 22 novembre 2022, è di incentivare la produzione nazionale di “biocarburanti liquidi sostenibili” da utilizzare in purezza. La pubblicazione integra il decreto Mase del 16 marzo 2023, che prevede vengano immesse in consumo, dai soggetti obbligati, quantitativi di biocarburanti in purezza che si incrementano di centomila tonnellate annue, fino a raggiungere il milione di tonnellate nel 2030 e negli anni successivi.
I contributi sono concessi a valere sul Fondo per la decarbonizzazione e la riconversione verde delle raffinerie esistenti, con priorità alla riconversione totale degli impianti tradizionali: il soggetto che gestisce l'attuazione della misura è il Gse, che dovrà ora predisporre le regole operative.
«Col via libera a questo decreto proseguiamo sulla strada dei nostri obiettivi di decarbonizzazione, affermando la centralità di un modello, quello dei biocarburanti sostenibili, che è già una realtà in Italia ma ha bisogno di una forte affermazione in sede europea», commenta il ministro Pichetto.
Il riferimento neanche troppo velato è all’insistenza con cui l’Italia ha provato a frenare le nuove norme europee che prevedono lo stop all’immatricolazione di auto e furgoni alimentati a combustibili fossili entro il 2035; l’opzione tecnologica più efficace ed efficiente per farlo sta nella mobilità elettrica, mentre il Governo Meloni punta da sempre sui biocarburanti.
Ad oggi il principale progetto di riconversione (parziale) di raffineria tradizionale in bioraffineria è quello presentato da Eni nell’area di Livorno, che il Cane a sei zampe confida di terminare entro il 2026, mentre un altro progetto è ancora in fase di studio.
Come evidenziato dal circolo Legambiente Livorno nelle osservazioni alla Via inviate al ministero, secondo gli stessi dati presentati dalla multinazionale il progetto prevede investimenti ingenti (420 mln di euro) e 500 posti di lavoro in fase di cantiere, senza specificare quali saranno le ricadute occupazionali per l’esercizio della bioraffineria: al meglio, si prospetta dunque il mantenimento degli attuali posti di lavoro.
Il medesimo progetto documenta cambiamenti minimi sotto il profilo degli inquinanti atmosferici (CO e NH3 +6%, SO2 -12%, NOx e H2S -5%, polveri -6,5%), mentre non viene indicato con precisione il calo atteso nelle emissioni di CO2 legate all’impiego dell’uso di biocarburanti, al posto dei combustibili fossili tradizionali; al contempo non si specifica da dove verranno importante le cariche biogeniche in ingresso alla bioraffineria, lasciando dubbi sulla capacità di tracciare la filiera in modo stringente.
Come documenta Legambiente mettendo all’indice i falsi carburanti rinnovabili, l’80% del biodisel immesso in Italia è a rischio frode. Un problema evidenziato anche da Transport&Environment, che mostra come «in Italia i biocarburanti da Uco vengono presentati come una strategia per perseguire l’indipendenza energetica, ma la realtà è tutt’altra: dipendiamo e dipenderemo ampiamente dalle importazioni. I biofuels da oli esausti realmente sostenibili sono pochi: andrebbero utilizzati solo quelli raccolti a livello domestico e impiegati per la decarbonizzazione di settori hard-to-abate come l’aviazione, il cui mercato è più che sufficiente ad assorbire i volumi nazionali. Invece vengono utilizzati largamente in auto e camion, spingendo la domanda troppo in alto e determinando una situazione di dipendenza commerciale da importazioni dubbie dall’Asia».