
Trivelle, 42 piattaforme offshore «non sono state sottoposte a valutazione ambientale»

Ben 42 piattaforme (il 47,7%) delle 88 localizzate nella fascia off-limits delle 12 miglia – rientranti dunque nell’oggetto del referendum sulle trivelle atteso il prossimo 17 aprile – non hanno «mai passato la procedura di Valutazione di impatto ambientale», con il governo che ha inoltre «stralciato il Piano delle aree impedendo lo svolgimento della Valutazione ambientale strategica».
È quanto sottolinea il Wwf, all’avvinarsi della consultazione referendaria, nell’e-book “Trivelle insostenibili - Come far uscire l'Italia dall'oscurantismo energetico”, presentato stamani alla Sapienza di Roma. Nella stessa occasione il Panda ha inoltre precisato che l’età media delle piattaforme offshore entro le 12 miglia è di 35 anni, e che ben il 48% delle piattaforme supera i 40 anni di attività. «Di queste, 8 (tutte dell’Eni) sono classificate come “non operanti” e ben 31 (il 35% del totale delle 88 piattaforme) sono classificate come “non eroganti”». Perché dunque – chiedono gli ambientalisti – il ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Ambiente non hanno chiesto «alle aziende estrattive di procedere allo smantellamento e al ripristino dei luoghi per le 8 piattaforme “non operative”». E perché non è mai «stata condotta un’indagine accurata sulle piattaforme “non eroganti” per stabilire se in molte di queste non si nascondano in realtà strutture che devono essere smantellate?».
Il Wwf torna poi a concentrarsi sui privilegi che fanno dell’Italia un “paradiso fiscale” per i petrolieri, come il valore risibile delle concessioni o il sistema di esenzioni che non fa pagare le prime 50mila tonnellate di petrolio estratte all’anno a mare e i primi 80 milioni di Smc di gas.
Stimoli di riflessione in una campagna in cui si preferisce troppo spesso il rumore ai pensieri, perdendo tra l’altro di vista l’orizzonte più ampio in cui è inserita l’Italia: l’Unione europea.
Proprio quest’anno, infatti, l’Ue inizia la revisione completa della sua politica energetica, dalle regole su rinnovabili ed efficienza energetica, alla definizione dell’Unione per l’energia, alle conseguenze per l’Ue dell’Accordo di Parigi. È dunque evidente l’importanza di ritrovare in ogni Paese membro un indirizzo politico che sostenga concretamente politiche di sostenibilità. L’Italia rientra in questo quadro?
«In questo momento – risponde Monica Frassoni, Co-Presidente del Partito Verde Europeo – la posizione dell’Italia in questa fondamentale partita è dalla parte di chi crede ancora che futuro, innovazione e lavoro siano ‘fossili’. Noi auspichiamo che questo referendum possa invece rappresentare una potente spinta per cambiare strada e riportare l’Italia su posizioni più utili ad una transizione energetica ‘verde’, possibile e conveniente».
