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A febbraio calano produzione (-13,4%) e crescita dei nuovi impianti (-38%)

Nell'ultimo anno dalle rinnovabili il 47,4% dell'elettricità Ue, ma l'Italia è in retromarcia e le bollette crescono

Negli ultimi 3 anni installati appena 16 dei 60 GW di impianti proposti dagli industriali, e con l’inizio del 2025 il rallentamento è ancora più marcato
 |  Nuove energie

In base ai nuovi dati appena aggiornati da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, nel 2024 il 47,4% di tutta l’elettricità prodotta nell’Ue è stata garantita dalle fonti rinnovabili, con un contributo in crescita del 2,6% rispetto all’anno precedente.

L'energia eolica e quella idroelettrica hanno rappresentato oltre due terzi dell'elettricità totale generata da fonti rinnovabili (rispettivamente il 39,1% e il 29,9%), mentre il restante terzo dell'elettricità proveniva dall'energia solare (22,4%), da combustibili come le biomasse (8,1%) e solo circa lo 0,5% dall'energia geotermica, che rappresenta però una fonte rinnovabile dalle enormi potenzialità ancora inesplorate (in particolare in Italia).

Gli Stati membri mostrano però una performance assai eterogenea. In Danimarca l’88% dell’elettricità è stata prodotta da fonti rinnovabili, in particolare eolico, seguita dal Portogallo (87,4%) dove le principali fonti sono eolico e idroelettrico e della Croazia (73,8%) grazie in primis all’idroelettrico; all’altro estremo della coda troviamo invece Malta (15,1%), Repubblica Ceca (17,5%) e Cipro (24,1%).

L’Italia si colloca appena sotto la soglia del 50%, dunque poco oltre la media Ue, ma in questi primi mesi del 2025 è già evidente la tendenza declinante per il contributo offerto dalle energie pulite. I dati pubblicati appena pubblicati da Terna, il gestore della rete nazionale ad alta tensione, mostrano che nel corso dell’ultimo mese la domanda di elettricità italiana è stata soddisfatta per solo il 29,1% da fonti rinnovabili, la cui produzione è in calo del 13,4% rispetto allo stesso mese del 2024; frena anche l’installazione dei nuovi impianti, che nei primi due mesi dell’anno ha registrato appena +820 MW (-38%), con un crollo nelle installazioni di impianti fotovoltaici (+811 MW, -34%) e soprattutto eolici (+4 MW, -97%).

Continuando a questo ritmo, a fine anno l’Italia si troverebbe con soli +4,9 GW di nuovi impianti rinnovabili in esercizio, allontanandosi così ulteriormente dal percorso di decarbonizzazione e contenimento dei costi in bolletta. Come documenta Legambiente, per rispettare infatti il pur timido obiettivo contenuto nel decreto Aree idonee del Governo Meloni, ovvero installare +80 GW dal 2021 al 2030, l’Italia dovrebbe fare spazio a nuovi impianti per un minimo di 10,38 GW/anno – che diventano +12 GW/anno per rispettare appieno i target RePowerEu fatti propri dal Piano elettrico 2030 elaborato dalla confindustriale Elettricità futura –, mentre anche nel 2024 si è fermata ampiamente sotto questa soglia (+7,48 GW)

Tutto questo mentre anche Mario Draghi, ieri in audizione al Senato, è tornato a sottolineare la necessità di «accelerare lo sviluppo di generazione pulita e investire estesamente nella flessibilità e nelle reti» per contenere il costo dell’energia che paghiamo in bolletta: «È indispensabile semplificare e accelerare gli iter autorizzativi, e avviare rapidamente gli strumenti di sviluppo: questo abiliterebbe nuova produzione a costi più bassi di quella a gas, che rappresenta ancora in Italia circa il 50% del mix elettrico (a fronte di meno del 15% in Spagna e di meno del 10% in Francia)».

Il rallentamento delle rinnovabili nel nostro Paese è dunque sia un problema ambientale, perché frena la decarbonizzazione e con essa la lotta alla crisi climatica e a suoi eventi estremi, sia un problema economico perché le fonti pulite sono quelle cui possiamo far leva per diminuire il costo delle bollette. Non a caso nel corso del 2024, sui mercati all’ingrosso, l’Enea registra uno spread che si amplia rispetto al resto d’Europa: l’elettricità costa 108 €/MWh come media annuale alla Borsa italiana, rispetto a 78 in Germania, 63 in Spagna, 58 in Francia.

Nel merito, è utile richiamare le stime elaborate dal ricercatore Luigi Moccia: se nell’ultimo quadriennio l’Italia avesse investito sulle rinnovabili quanto la Germania avrebbe risparmiato 49,4 miliardi di euro sui prezzi elettrici, mentre prendendo a riferimento Spagna e Portogallo si arriva a ben 74 miliardi di euro.

Eppure la strada per evitare la nuova crisi energetica che stiamo attraversando era stata tracciata per tempo da Agostino Re Rebaudengo, allora alla presidenza di Elettricità futura, quando nel 2022 l’associazione confindustriale propose di installare 60 GW di nuovi impianti rinnovabili in un triennio, in modo da risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno.

Dal 2022 a oggi la dipendenza del nostro Paese dall’import di fonti fossili – avendo riserve interne estremamente limitate se paragonate al fabbisogno – è costata agli italiani esattamente 230 miliardi di euro di cui 48,5 solo l’anno scorso, quando il petrolio ha inciso per 21,2 mld di euro e il gas naturale per altri 20,6. In questi tre anni però l’Italia ha installato appena 16 dei 60 GW proposti, e si trova adesso per l’ennesima volta alla canna del gas.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.