Ecco il nuovo Pniec del Governo Meloni: punta sull’energia che non c’è, quella nucleare
Il ministero dell’Ambiente ha pubblicato la nuova proposta del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), dopo che la prima versione elaborata dal Governo Meloni è stata duramente bocciata per la sue scarse ambizioni dalla Commissione europea (oltre che dell’Ocse e dalle associazioni ambientaliste).
«Oggi il nostro Paese si dota di uno strumento programmatorio che traccia con grande pragmatismo la nostra strada energetica e climatica, superando approcci velleitari del passato – dichiara il ministro Gilberto Pichetto – Cito in particolare lo scenario sull’energia nucleare, sia da fissione nel medio termine (a partire dal 2035) che da fusione (a ridosso del 2050), che ci fa guardare avanti a un futuro possibile».
Una scelta curiosa, per essere definita “pragmatica”. Se a maggio le fonti rinnovabili sono state capaci di coprire il 52,5% della domanda elettrica italiana, nonostante gli innumerevoli ostacoli che frenano l’installazione dei nuovi impianti – a questo ritmo arriveremmo a fine anno a +7,2 GW, contro i circa +12 GW/a necessari a centrare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 –, il ministero sottolinea che «il nucleare da fissione, e nel lungo termine da fusione, potrebbero fornire al 2050 circa l’11% dell’energia elettrica totale richiesta, con una possibile proiezione verso il 22%».
Si prevede dunque di ottenere dall’atomo, tra 26 anni, un contributo pari a circa un quinto di quello già oggi offerto dalla fonti pulite. Al contempo, nel Pniec non c’è una parola sul necessario Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, ancora in alto mare e senza un’idea di dove realizzarlo (avrebbe dovuto essere decisa entro dicembre 2023 per entrare in funzione nel 2029).
Dal ministero però insistono: la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile «ha sviluppato delle ipotesi di scenario, in cui si dimostra da un punto di vista tecnico-scientifico la convenienza energetica ed economica di avere una quota di produzione nucleare, in sinergia e a supporto delle rinnovabili e delle altre forme di produzione di energia a basse emissioni».
Si tratta di uno scenario assai originale, dato che il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) indica chiaramente nelle rinnovabili le tecnologie più efficienti sotto il profilo dei costi per contenere le emissioni di CO2, mentre l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) documenta che in Europa le rinnovabili continueranno ad essere più convenienti rispetto al nucleare – guardando sia ai costi di produzione sia a quelli di sistema – al 2030 come anche nel 2050.
Se queste sono le premesse, è difficile valutare la credibilità del Pniec anche nei capitoli che non riguardano il nucleare. «L’area con performance più alte è quella delle fonti energetiche rinnovabili, dove è ribadito che l’Italia dovrà raggiungere al 2030 una potenza da fonte rinnovabile di 131 GW – argomentano nel merito dal ministero – Si prevede che quasi ottanta (79,2) di questi deriveranno dal solare, 28,1 dall’eolico, 19,4 dall’idrico, 3,2 dalle bioenergie e 1 GW da fonte geotermica (quota quest’ultima che potrebbe anche aumentare al raggiungimento di un adeguato livello di maturità di alcune iniziative progettuali in via di sviluppo)». Vale la pena notare che, ad ora, per la geotermia l'obiettivo di crescita resta quello minimale già previsto dalla vecchia bozza di Pniec.
In sintesi si tratta di installare +70 GW al 2030 rispetto ai 61 GW presenti sul territorio a fine 2022, ovvero una traiettoria di sviluppo delle fonti rinnovabili inferiore rispetto a quella proposta non solo dagli ambientalisti ma anche dall’associazione confindustriale Elettricità futura (+85 GW), per non parlare della promessa fatta dal ministro Pichetto neanche tre mesi fa (+140 GW) e adesso disattesa.
«Per quanto riguarda le emissioni e gli assorbimenti di gas serra – continuano dal ministero – l’Italia prevede di superare l’obiettivo del “FitFor55” riguardante gli impianti industriali vincolati dalla normativa Ets, arrivando al -66% rispetto ai livelli del 2005 (obbiettivo UE, -62%). Anche nei settori “non-Ets” (civile, trasporti e agricoltura) si registra un sostanziale miglioramento degli indicatori emissivi e per raggiungere i target europei ad oggi ancora troppo sfidanti sarà necessario profondere ulteriori energie».
Viste le premesse, e l’accento posto sull’energia che non c’è – quella da nucleare – per rendere ancora più fumoso lo scenario, il rischio concreto è che il nuovo Pniec finisca per rallentare ancora una volta l’unica transizione energetica possibile. Quella basate su efficienza energetica e fonti rinnovabili.