Elettricità futura, il cambio presidenza rischia di spaccare la filiera elettrica italiana
Agostino Re Rebaudengo, il presidente di Elettricità futura (l’associazione che in Confindustria rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale) ha confermato ieri di essere pronto a lasciare il passo: nonostante l’estensione del suo mandato al 2026 fosse stata approvata nell’ottobre 2022 col 99,7% delle preferenze, oggi la nuova stagione confindustriale e politica – dettata dalla presidenza Orsini e dal Governo Meloni, entrambi ferocemente contrari al Green deal – ha portato a una frattura interna in Elettricità futura che ha portato Re Rebaudengo a farsi da parte avviando l’iter per individuare il nuovo presidente.
Uno scossone che si è fatto sentire ben oltre i confini associativi, suscitando l’indignata risposta di Legambiente, Wwf, Greenpeace, Kyoto club e Fondazione per lo sviluppo sostenibile, visto l’impegno profuso da Re Rebaudengo per lo sviluppo delle fonti pulite. E che oggi rischia di polarizzare ulteriormente il confronto sulla necessaria transizione energetica nel nostro Paese.
Ne abbiamo parlato con Attilio Piattelli, ingegnere nucleare oggi alla guida del Coordinamento Free, la più grande rete italiana di associazioni con lo scopo di promuovere lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, mettendo insieme ambientalisti e industriali di settore.
Intervista
È ormai avviato il percorso per la destituzione di Agostino Re Rebaudengo dalla presidenza di Elettricità futura, nonostante il 100% rinnovabili network – composto dalle principali associazioni ambientaliste del Paese – abbia chiaramente denunciato i rischi dell’operazione: cosa ne pensa?
«Noi ci atteniamo ai fatti e quello che è certo è che Elettricità futura negli scorsi anni, sotto la guida di Agostino Re Rebaudengo, ha sempre lavorato per promuovere con forza l’elettrificazione dei consumi e lo sviluppo delle rinnovabili elettriche e come associazione che fa parte del Coordinamento Free ha sempre contribuito a dare il suo apporto a Free per promuovere le iniziative in direzione della transizione energetica».
Elettricità futura parla di un «confronto interno sollecitato recentemente da 8 aziende tra le oltre 500 associate». Di quali aziende si parla?
«Non conosco i nomi di tutte e 8 le aziende che lo avrebbero sfiduciato. Posso solo riferire quanto letto su alcuni quotidiani secondo cui tra i nominativi ci sarebbero Enel, A2A, Edison, Iren e Sorgenia ma, ribadisco che sono informazioni che ho appreso direttamente dalla stampa, e non posso essere certo che siano tutte corrette».
Ritiene si stia andando verso una spaccatura con la divisione dei soci di Elettricità futura in due associazioni diverse?
«I conflitti interni alle associazioni non sono mai semplici da risolvere e certamente ciò che conterà sarà l’indirizzo che vorrà dare all’associazione la nuova presidenza. All’interno di Elettricità futura ci sono moltissime aziende interessate a mantenere una linea forte e decisa verso l’elettrificazione dei consumi e lo sviluppo delle Fer elettriche, e un eventuale cambio di direzione o rallentamento rispetto alla spinta data da Re Rebaudengo potrebbe rendere difficile la permanenza di molti soci all’interno di Elettricità futura. Ovviamente io mi auguro che questo non avvenga e che la linea politica della nuova presidenza sia altrettanto decisa a perseguire lo sviluppo delle Fer».
La filiera eolica nazionale, rappresentata dall’Anev, sostiene che il anche recente decreto Ambiente aggravi ulteriormente il percorso autorizzativo per gli impianti rinnovabili. Si rischia un rallentamento delle nuove installazioni, già insufficienti per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030?
«Nel decreto Ambiente sono stati introdotti degli aspetti connessi all’acquisizione preventiva dei diritti sui terreni individuati per lo sviluppo di impianti Fer che potrebbero sembrare aspetti di dettaglio ma che, nella pratica di come si svolgono gli iter autorizzativi, rischiano di creare dei serissimi problemi di sviluppo, soprattutto agli impianti eolici e a quelli idroelettrici. Purtroppo mi spiace constatare che, come più volte fatto notare dal Coordinamento Free e da molte altre associazioni, continua a mancare quel sano confronto preventivo tra istituzioni e associazioni di settore, che potrebbe certamente aiutare a risolvere un gran numero di problemi pratici o di difficoltà interpretative dei nuovi provvedimenti normativi».
In Italia gli eventi meteo estremi come le alluvioni sono cresciuti del 400% rispetto al 2018, ma il Governo Meloni anche quest’anno non prevede risorse rilevanti in legge di Bilancio per transizione ecologica e adattamento. Quali sarebbero le priorità normative e d’investimento?
«Quello che sembra non essere stato compreso è che rallentare sul Green deal rischia di rendere le aziende italiane non competitive in tutti quei settori innovativi che rappresentano non più il futuro ma il presente. Efficienza energetica, rinnovabili, accumuli, auto elettrica, idrogeno verde ormai non sono più il futuro ma il presente e un Paese che spinge in modo deciso in questi settori è un Paese che ha capito quali sono i comparti industriali su cui puntare a beneficio delle imprese italiane e dell’occupazione.
Non dimentichiamo che accelerare in questi settori vuol dire anche andare velocemente in direzione dell’indipendenza energetica e quindi di prezzi dell’energia stabili e più bassi sia per le imprese che per le famiglie. E purtroppo, facendo riferimento ai dati storici, contenuti anche nel rapporto Draghi, si vede invece che oggi l’Italia è uno dei Paesi europei con i costi più alti per l’energia.
Ad una prima lettura delle informazioni trapelate sulla bozza di legge di Bilancio sembrerebbe che, per i prossimi anni, sia prevista anche una forte stretta sulle detrazioni fiscali per ristrutturazioni edilizie e ecobonus, col serio rischio che anche il settore legato alle ristrutturazioni e all’efficientamento degli edifici, che dà lavoro a numerosissime piccole e medie imprese italiane, sia seriamente messo in crisi».
Lei è un ingegnere nucleare. Qual è la sua opinione in merito alla nuova centralità che, almeno a parole, il Governo Meloni intende dare al ritorno dell’energia dall’atomo nel nostro Paese?
«La mia opinione sul tema nucleare è che certamente a livello mondiale il nucleare è una fonte che continuerà ad essere realizzata soprattutto in quei paesi che vedono una forte crescita dei consumi e che devono però anche limitare il loro livello di emissioni climalteranti. Purtroppo, il nucleare cosiddetto tradizionale non è ancora riuscito nei fatti a risolvere i due principali problemi che ne hanno limitato la diffusione: la sicurezza intrinseca dei reattori e il problema dello smaltimento delle scorie. Aspetti che si sta tentando di risolvere coi cosiddetti reattori avanzati o di quarta generazione, che però al momento esistono soltanto sotto forma di progetti ma non ci sono ancora al mondo centrali di quarta generazione già operative.
Entrando nello specifico della domanda, dal punto di vista tecnico il Pniec prevede di ricorrere ai cosiddetti Smr (Small modular reactor – reattori di piccola taglia) e agli Amr (Advanced modular reactor – centrali come già detto di nuova generazione). Entrambi i sistemi però non sono ancora commercializzati ma esistono solo a livello progettuale.
Se si entra nel merito delle motivazioni che spingono verso il nucleare, stupisce che sempre nel Pniec i criteri di scelta siano riconducibili esclusivamente a benefici di tipo economico, sui quali però non sono state fornite informazioni di dettaglio e che, a mio parere, sono tutti ancora da dimostrare, vista l’attuale assenza a livello mondiale di Smr o Amr in funzione a livello commerciale. Nulla si dice invece sulla maturità delle nuove tecnologie, sulla sicurezza delle centrali, sull’approvvigionamento del combustibile e sulla gestione delle scorie.
Parlando da tecnico ritengo quindi che le critiche al governo vadano espresse non rispetto alla volontà di tornare al nucleare, ma nel metodo fino ad ora seguito. Bisognerebbe che il governo e i suoi ministri, prima di promuovere in tutti i contesti il nucleare, ci spiegassero quali siano le valutazioni fatte. Vorremmo vedere studi, dati e analisi, al momento totalmente assenti nel Pniec, per una loro revisione da parte del mondo scientifico.
Una volta superata questa fase poi si può passare a valutare con molta attenzione l’opportunità strategica del ritorno al nucleare, la sicurezza e tutto il resto. Scelte di questa portata, che condizionano le strategie energetiche dell’intera nazione per decenni, non si possono fare con annunci nei convegni ma con dati scientifici chiari e condivisi. Dati che fino ad ora il Governo non ha reso noti».