
Agricoltori e transizione energetica, un’alleanza da costruire

Dal piano europeo a quello toscano, nel bene e nel male, la filiera agroalimentare è sempre più al centro della transizione ecologica. Ne abbiamo parlato con Angelo Gentili, responsabile Agricoltura di Legambiente nazionale, nonché coordinatore di Festambiente, il festival nazionale dell’associazione del cigno verde che prende vita ogni estate in Maremma.
Intervista
La Commissione Ue ha presentato la sua tabella di marcia per “semplificare” l’attuale quadro legislativo in materia di agricoltura e cibo, con un’iniziativa bollata come «debole e deludente» dalla rete ambientalista paneuropea Eeb. Quale crede siano le principali lacune e quali invece le priorità d’intervento?
«La semplificazione annunciata dalla Commissione europea per il quadro legislativo in materia di agricoltura e cibo appare più come un'operazione di facciata che come un intervento strutturale in grado di rispondere alle sfide del settore. Il documento pubblicato dalla Commissione, che dovrebbe tracciare la visione per l'agricoltura europea fino al 2040, delude sotto diversi aspetti: non solo non fornisce soluzioni concrete per affrontare la crisi climatica, ma rischia di perpetuare le disuguaglianze esistenti nel comparto agricolo. Tra le principali lacune del documento spicca l’assenza di un reale impegno per la transizione ecologica. Il fatto che non ci siano riferimenti espliciti al Green deal, né alle Strategie europee, è un segnale preoccupante: in un momento in cui gli impatti della crisi climatica stanno mettendo a dura prova gli agricoltori, non includere misure efficaci di adattamento e mitigazione significa non voler affrontare il problema alla radice. Inoltre, se da un lato si promette una riduzione degli oneri burocratici, dall’altro si evita di mettere in discussione il sistema di sussidi che confermando il meccanismo dei pagamenti diretti a superficie continua a favorire le grandi aziende a discapito dei piccoli produttori, fondamentali per un’agricoltura più resiliente e sostenibile.
Un’altra grave contraddizione riguarda il settore della zootecnia: il documento non prevede strategie per ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi, che sono tra le principali cause d’inquinamento e consumo di risorse naturali. Senza prevedere una graduale riconversione per l'attuale modello si rischia di compromettere qualsiasi tentativo di rendere il settore agricolo più sostenibile. Le priorità d’intervento dovrebbero invece essere chiare: occorre garantire che i fondi della Politica agricola comune (Pac) siano destinati a chi davvero ne ha bisogno, incentivando le buone pratiche agricole che permettono la rigenerazione dei suoli, la riduzione dei pesticidi e il rafforzamento della biodiversità. È altresì necessario un sostegno reale e non solo a livello di orientamento generale ai giovani agricoltori, che rappresentano una percentuale ancora troppo bassa della forza lavoro agricola. Infatti come dimostrano i dati del "Rapporto giovani 2024" in Italia solo il 7,5% delle imprese agricole è gestito da giovani under 40. Ma questo non può avvenire senza una riforma del sistema di accesso ai fondi, che attualmente continua appunto a premiare i grandi produttori.
Infine, nonostante alcune note positive come il sostegno al biologico, l'impegno per il giusto prezzo e l'etichettatura trasparente, il documento della Commissione sembra ignorare un punto chiave: senza una strategia per ridurre la dipendenza dalle importazioni e promuovere un modello di agricoltura realmente più sostenibile, più diversificato e resiliente, l’Europa resterà vulnerabile alle crisi globali. Più che una semplificazione burocratica, servirebbe una visione coraggiosa, capace di affrontare le reali sfide dell’agricoltura del futuro».
Il nuovo rapporto Europe talks farming mostra una realtà diversa rispetto a quella cui ci hanno abituato le proteste dei trattori prima delle elezioni Ue: solo il 14% degli imprenditori agricoli ritiene che la transizione ecologica sia un errore e solo il 26% è disinteressato a installare impianti rinnovabili sui propri terreni. Come dare rappresentanza a queste istanze e coinvolgere di più gli agricoltori?
«I dati confermano che il settore agricolo non è ostile alla transizione ecologica, anzi, molti imprenditori agricoli ne riconoscono le opportunità, sia ambientali che economiche. Il problema è che troppo spesso il dibattito pubblico ha contrapposto agricoltura e sostenibilità, mentre la realtà mostra che molti agricoltori sono pronti ad adottare pratiche innovative, purché ci siano strumenti adeguati di sostegno e semplificazione. Basti pensare al costante aumento di produzioni biologiche e alle numerose aziende che riducono significativamente gli impatti negativi e puntano su un’agricoltura di qualità, che è anche più remunerativa sui mercati.
Per rappresentare queste istanze è fondamentale garantire un dialogo costante con il mondo agricolo e le realtà che già sperimentano modelli sostenibili, con l’obiettivo di costruire politiche pubbliche basate su esigenze reali. Serve inoltre rendere più accessibili e chiari gli incentivi per agroecologia, agricoltura biologica e agricoltura integrata di fascia alta, affinché gli imprenditori possano investire con maggiore sicurezza. La formazione e l’assistenza tecnica sono poi essenziali per accompagnare le aziende nella transizione e superare resistenze legate alla complessità delle nuove tecnologie o alla burocrazia. Infine, bisogna favorire filiere locali e sistemi di certificazione trasparenti, che valorizzino il ruolo degli agricoltori nella tutela del territorio e ne riconoscano il giusto valore economico, per contrastare le gravi problematiche legate al basso reddito. L’obiettivo non è contrapporre agricoltura e transizione ecologica, ma dimostrare che un modello agricolo più sostenibile è anche più competitivo e resiliente».
Dai sindacati agricoli, carsicamente, tornano invece in auge proposte di stampo conservatore come l’allentamento delle regole sull’impiego dei pesticidi. Pensa sia la strada giusta per aumentare la competitività dell’agricoltura nazionale?
«No, allentare le regole sull’uso dei pesticidi non è certamente la strada giusta per aumentare la competitività dell’agricoltura nazionale. Al contrario, questa scelta rappresenterebbe un pericoloso passo indietro, con conseguenze negative sia sul piano ambientale che economico. Indebolire le normative sui fitofarmaci significherebbe esporre i suoli, le falde acquifere e gli ecosistemi agricoli a un maggiore degrado, con effetti diretti anche sulla salute degli agricoltori e dei consumatori. Inoltre, andrebbe a minare la reputazione del made in Italy sui mercati internazionali, proprio in un momento storico in cui la domanda di prodotti a basso impatto ambientale e privi di residui chimici è in costante crescita. L’idea che la competitività passi attraverso un ritorno a modelli agricoli meno regolamentati è un’illusione. Al contrario, il settore ha bisogno di investimenti mirati per innovare, ridurre la presenza di agricoltura e zootecnia intensiva, così come la dipendenza da input chimici e rafforzare pratiche più sostenibili ed efficienti. La ricerca sta già offrendo soluzioni alternative ai pesticidi di sintesi, come la difesa biologica integrata, il miglioramento della biodiversità nei campi e l'abbinamento fra buone pratiche agricole e innovazioni tecnologiche che riducono l’impatto ambientale senza compromettere le rese produttive.
Piuttosto che indebolire le normative, servirebbe una politica agricola capace di accompagnare gli agricoltori nella transizione ecologica, garantendo incentivi per il biologico, per l’agroecologia e per le filiere corte, che sempre più rispondono sia alle esigenze del mercato sia a quelle legate alla salvaguardia della biodiversità. Questo è l’unico modo per garantire un’agricoltura competitiva nel lungo periodo: innovare, rendere le aziende più resilienti ai cambiamenti climatici, ridurre i costi legati ai prodotti chimici e valorizzare il patrimonio agroalimentare italiano senza comprometterne la sostenibilità. Il Green deal e la strategie europee Farm to fork e Biodiversity 2030 non sono il nemico degli agricoltori, ma al contrario rappresentano un importante strumento per ridurre gli input negativi sugli ecosistemi e ridurre le problematiche dell’attuale sistema».
Nell’area della Maremma si sta saldando un’alleanza tra comitati Nimby, sindaci Nimto e imprenditori agricoli per dire no all’installazione di nuovi impianti rinnovabili ed eolici in particolare: è reale il rischio di esproprio coatto dei terreni agricoli, o le rinnovabili possono rappresentare un’integrazione per il reddito sempre più magro degli agricoltori? Più in generale, come pensa sia possibile incrementare il consenso del mondo agricolo verso la transizione energetica?
«La narrazione secondo cui l’installazione di impianti rinnovabili implicherebbe un rischio diffuso di espropri coatti per gli agricoltori è fuorviante e spesso utilizzata per alimentare opposizioni pregiudiziali alla transizione energetica. In realtà, le energie rinnovabili possono rappresentare un’importante opportunità per il settore agricolo, integrando il reddito delle aziende e favorendo modelli di produzione più resilienti.
Oggi, gli agricoltori si trovano ad affrontare una crisi strutturale, tra reddito basso e ingiusto, aumento dei costi di produzione, eventi climatici estremi sempre più frequenti e una filiera spesso sbilanciata a favore della grande distribuzione. In questo contesto, impianti come l’agrivoltaico – che permette di combinare produzione agricola ed energia solare – possono rappresentare una soluzione strategica. Non si tratta di sottrarre terreno all’agricoltura, ma di valorizzarlo con tecnologie che garantiscano una doppia redditività: quella agricola e quella energetica. Nel caso di progetti di agrivoltaico occorre evidenziare con forza il ruolo significativo che possono avere anche nel contrasto agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici per le colture agricole, limitando i danni per grandinate, gelate, caldo eccessivo e permettendo in tal modo il mantenimento della resa produttiva.
Certo, il tema della pianificazione rimane centrale. Servono un quadro normativo chiaro e strumenti di concertazione territoriale che evitino speculazioni e garantiscano un’armonizzazione tra impianti e paesaggio, coinvolgendo attivamente agricoltori e comunità locali nella definizione delle scelte. Il modello da seguire non è quello di grandi impianti imposti dall’alto, ma quello di una transizione energetica partecipata, che dia priorità ai progetti migliori e di qualità, che vedano gli agricoltori e i cittadini come protagonisti e beneficiari diretti.
Per incrementare il consenso del mondo agricolo verso le rinnovabili, è fondamentale garantire strumenti di sostegno adeguati, a partire da bollette energetiche più basse per chi abita in aree con presenza di impianti da rinnovabili, procedure autorizzative snelle per i progetti che rispettano criteri di sostenibilità e un sistema di incentivi che premi le aziende che integrano produzione agricola ed energia pulita. Anche in questo caso, la chiave sta nel dimostrare che la transizione energetica non è una minaccia per l’agricoltura, ma una possibilità concreta per rafforzare il settore, migliorare l’autonomia economica delle imprese agricole, dare impulso allo sviluppo dei territori specie nelle aree marginali soggette al grave fenomeno dell’abbandono e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, che oggi rappresentano un costo sempre più insostenibile per il comparto».
La Regione Toscana è al lavoro su una legge per le aree idonee agli impianti rinnovabili, sulla quale però un’ampia colazione ecologista chiede alla politica più coraggio: cosa ne pensa?
«Definire le aree idonee per gli impianti rinnovabili è un passo necessario per accelerare la transizione energetica, ma il rischio è che una regolamentazione troppo rigida o timida finisca per rallentare anziché agevolare lo sviluppo delle fonti pulite. È comprensibile che la Regione Toscana voglia mettere ordine nella pianificazione, evitando speculazioni e garantendo un’armonizzazione con il territorio, ma è altrettanto fondamentale che questa legge non diventi un freno alla decarbonizzazione. L’ampia coalizione ecologista che chiede maggiore coraggio alla politica ha ragione: la crisi climatica impone scelte nette e strategie ambiziose.
Oggi, il vero pericolo non è rappresentato dall’installazione di impianti eolici e fotovoltaici, ma dall’inazione. Ogni ritardo nella realizzazione di infrastrutture energetiche rinnovabili significa continuare a dipendere dalle fonti fossili, con costi altissimi sia in termini economici che ambientali.
Perché questa legge sia davvero efficace, deve garantire regole chiare e tempi certi per chi vuole investire nelle rinnovabili, evitando lungaggini burocratiche che spesso scoraggiano gli stessi operatori. La trasparenza nei processi autorizzativi è fondamentale per accelerare la transizione energetica senza lasciare spazio a incertezze e ritardi. Allo stesso tempo, è essenziale mettere al centro i territori, dando priorità alle comunità energetiche e all’autoproduzione. Coinvolgere cittadini, imprese agricole e amministrazioni locali significa non solo ridurre la dipendenza energetica, ma anche generare benefici economici diffusi e rafforzare il tessuto sociale ed economico locale.
Un altro aspetto cruciale è la tutela del paesaggio, che deve avvenire senza trasformarsi in un ostacolo alla transizione. La bellezza del territorio toscano è un valore da proteggere, ma questo non può diventare il pretesto per bloccare ogni nuovo impianto. Esistono soluzioni tecnologiche e progettuali che permettono di integrare le rinnovabili nel contesto rurale senza comprometterne l’identità, conciliando innovazione e rispetto del territorio.
Il coraggio che si chiede alla politica non è solo quello di accelerare sulle rinnovabili, ma anche di dimostrare con i fatti che sviluppo energetico e tutela del paesaggio possono procedere insieme. Una legge sulle aree idonee non deve essere un compromesso al ribasso, ma un punto di partenza per fare della Toscana un modello di innovazione, evitando che opposizioni pregiudiziali e rinvii infiniti finiscano per ostacolare una transizione necessaria e ormai non più rinviabile».
Quest'intervista è stata pubblicata in contemporanea su greenreport.it e Gola Gioconda, riviste entrambe edite da Sicrea. Il nuovo numero di Gola Gioconda si legge (gratis) qui: https://www.golagioconda.it/rivista-sfogliabile-gola-gioconda/gola-gioconda-marzo-2025
