Più spreconi e più poveri. La giornata di prevenzione dello spreco alimentare certifica un fallimento
Se le campagne contro lo spreco alimentare, l’impegno di parte del mondo del volontariato e di un po' di amministrazioni locali, qualche app, ci avevano illuso di aver vinto la battaglia contro lo spreco i dati resi noti in occasione della 12° Giornata nazionale raccontano un’altra realtà.
I dati sono quelli del Rapporto Il caso Italia 2025 consegnato dall’Osservatorio Waste Watcher International e confermano che gettiamo ogni giorno 88,2 grammi di cibo ovvero 617,9 grammi settimanali. Non c’è una tendenza positiva, anzi lo spreco del cibo risale e se la media è quella, al sud viene ampiamente superata (713,8 grammi pro capite) così come al centro Italia (640,1 grammi).
Il rapporto dice molto anche sulle ragioni di tanto spreco, se è vero che nei piccoli centri (fino a 30mila abitanti) si spreca il 12% di cibo in più, le famiglie senza figli sprecano il 16% di cibo in più e le fasce socialmente svantaggiate sprecano addirittura il 26% di cibo in più: è facile dedurre, in questi casi, che la deperibilità del cibo più economico, ma di minore qualità, incida non poco sulla bilancia degli sprechi. Ma qui dopo aver gettato la croce addosso ai consumatori poco virtuosi converrà anche interrogarsi su cosa l’industria alimentare sta facendo per arginare il fenomeno. A fronte dell’invecchiamento della popolazione, della natalità sottozero, di famiglie sempre meno numerose l’industria continua a sfornare, è proprio il caso di dirlo, confezioni sempre più grandi di ogni ben di Dio. Crescono i guadagni dell’industria, si danneggia l’ambiente e si pesa sul portafoglio dei consumatori. Occorrerebbe, come da tempo chiedono le associazioni dei consumatori, un intervento in questo campo che impegni maggiormente i produttori nelle buone pratiche sul packaging e sulle quantità.
Perché quello di cui parliamo ha un valore davvero non trascurabile, lo spreco alimentare domestico vale quasi 140 euro pro capite ogni anno, mentre lo spreco di filiera del cibo in Italia costa complessivamente oltre 14 miliardi euro, pari a un peso di 4 milioni e mezzo di tonnellate di cibo gettato dai campi, dove viene prodotto, alle nostre tavole (e pattumiere), passando per le fasi di distribuzione e commercializzazione. Il costo del solo spreco alimentare domestico è di 8 miliardi euro. Il 58,55% del costo dello spreco di filiera arriva dalle nostre case, il 28,5 % nelle fasi di commercializzazione del cibo.
Siamo molto lontani dagli obiettivi dell’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile secondo cui gli sprechi andrebbero ridotti del 54%.
Proverà a dare una mano a aziende, politici e consumatori la guida presentata da METROFOOD-IT, coordinata da ENEA e finanziata dal PNRR. Ai decisori politici sono consigliati programmi e campagne di sensibilizzazione a livello territoriale e nelle scuole, agevolazioni fiscali per le aziende che donano cibo invenduto e per le attività agricole che adottano pratiche di economia circolare. Se da una parte gli italiani sono più spreconi, sono anche più poveri. Lo dice sempre il rapporto caso Italia che con l’Università di Bologna ha aggiornato i dati sull’insicurezza alimentare ovvero “lo stato in cui le persone rischiano o soffrono effettivamente di un consumo inadeguato a soddisfare i requisiti nutrizionali”. Se nel 2024 questo indice era al 10,27% ora si stima possa essere salito al 13,95%. Frutto del fatto che la povertà assoluta è aumentata in Italia dal 7,7% all’8,5% (5,7 milioni di persone nel 2023) e addirittura è salita del 28,9% per le famiglie straniere, e dove la povertà “relativa” già colpisce 2,8 milioni di persone.