
In Italia il rischio povertà o esclusione sociale sale al 23,1%: Istat, riguarda 13,5 milioni di persone

L’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha aggiornato oggi (con dati 2024) il rapporto su Condizioni di vita e reddito delle famiglie, dal quale emerge che quasi un quarto della popolazione italiana (23,1%) è a rischio povertà o esclusione sociale, in crescita nell’ultimo anno rispetto al 22,8% raggiunto nel 2023.
Significa che 13 milioni e 525mila persone ricadono in almeno una delle tre seguenti condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale oppure a bassa intensità di lavoro.
A livello territoriale, nel 2024, il nord-est si conferma la ripartizione con la minore incidenza di rischio di povertà o esclusione sociale (11,2%, era 11% nel 2023) e il Mezzogiorno come l’area del Paese con la percentuale più alta (39,2%, era 39% nel 2023); il rischio è più basso per chi vive in coppia senza figli, mentre è più elevato nelle famiglie con almeno un cittadino straniero (37,5%) rispetto a quelle composte da soli italiani (21,2%).
Guardando ai dati più recenti disponibili (2023) i lavoratori a basso reddito sono il 21% del totale, sebbene con profonde differenze in base alla popolazione osservata: per le donne il dato arriva al 26,6%, mentre si ferma al 16,8% per gli uomini; al contempo, sale al 29,5% per gli under35 mentre si limita al 17,7% nella classe 55-64 anni.
In generale, i redditi netti familiari si riducono in termini reali continuano a ridursi a causa dell’inflazione. Nel 2023, si stima che le famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto pari in media a 37.511 euro, circa 3.125 euro al mese. La crescita dei redditi familiari in termini nominali (+4,2% rispetto al 2022) non ha però tenuto il passo con l’inflazione osservata nel corso del 2023 (+5,9%), determinando un calo dei redditi delle famiglie in termini reali (-1,6%) per il secondo anno consecutivo. Rispetto al 2007, la contrazione complessiva dei redditi familiari in termini reali è pari, in media, a -8,7% (-13,2% nel Centro, -11,0% nel Mezzogiorno, -7,3% nel Nord-est e -4,4% nel Nord-ovest).
È inoltre utile ricordare che, poiché la distribuzione dei redditi è asimmetrica, la maggioranza delle famiglie ha percepito un reddito inferiore all’importo medio: calcolando il valore mediano, ovvero il livello di reddito che divide il numero di famiglie in due parti uguali, si osserva che il 50% delle famiglie residenti in Italia ha un reddito non superiore a 30.039 euro (2.503 euro al mese).
Infine, il rapporto Istat documenta che è in crescita anche la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi: se calcolato sui redditi netti senza componenti figurative e in natura (definizione armonizzata a livello europeo), nel 2023, il valore dell’indice di Gini stimato per l’Italia è pari a 0,323, in peggioramento rispetto all’anno precedente (quando era 0,315). In altre parole, l’ammontare di reddito percepito dalle famiglie più abbienti è 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere (in aumento dal 5,3 del 2022).
Che fare? Povertà e disuguaglianze crescenti non sono realtà inevitabili, ma frutto di precise scelte politiche. Al Paese non mancano le risorse – l’Istat stima che la ricchezza netta delle famiglie italiane valga qualcosa come 11mila miliardi di euro – ma una loro equa distribuzione.
Varando una riforma fiscale in senso progressivo, nel rispetto dell’articolo 53 della Costituzione, libereremmo anche importanti risorse per la transizione ecologica. Qualche esempio? Un recentissimo studio presentato su queste colonne dai ricercatori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e del LMU di Monaco propone una riforma organica della tassazione nazionale su reddito e/o capitale, dalla quale potremmo ricavare circa 26 miliardi di euro attingendo solo dall’1% più ricco della cittadinanza, trovando così un’importantissima fonte di finanziamento per la transizione ecologica del Paese, rendendola al contempo socialmente più equa e (dunque) più accettabile dalla popolazione.
