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Intervista al deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli

«Siccità in Sicilia e alluvioni in Emilia Romagna, ma il governo attacca il Green deal e perde tempo col nucleare»

«L’isola paga un’inaccettabile malagestione delle infrastrutture idriche. Le rinnovabili? Vogliono bloccarle perché prevedono un modello diffuso opposto alla concentrazione consentita dai combustibili fossili»
 |  Interviste

«In Sicilia la situazione ha superato ogni limite. Quello che mi meraviglia, e allo stesso tempo mi preoccupa, è l’assenza di consapevolezza da parte del governo di quel che stiamo vivendo». Angelo Bonelli quest’estate era stato nel trapanese, nell’agrigentino, poi nell’entroterra della provincia di Enna e infine lungo la Piana di Catania scattando foto e parlando con gli agricoltori messi in ginocchio dalla siccità. E ora, di fronte al fatto che quasi metà dei siciliani sono senz’acqua e alla previsione che di questo passo per gennaio l’isola sarà a secco, il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra scuote la testa: «Ormai si è presa l’abitudine, decisamente malsana, di nominare commissari su commissari».

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E perché mai sarebbe “malsana”, onorevole Bonelli?

«Perché è una scelta adottata per diffondere nell’opinione pubblica l’idea che si stia facendo qualcosa. Ma in realtà si tratta soltanto di un’arma di distrazione di massa, perché questi commissari non hanno fatto praticamente nulla per risolvere veramente i problemi. Già da diversi anni il Cnr aveva segnalato che il 70% del territorio della Sicilia sarebbe stato a rischio desertificazione e cosa è stato fatto nel frattempo? Ci sono popolazioni di città come Agrigento, Caltanissetta, Enna e anche di altri centri in provincia di Palermo che oggi ricevono l’acqua una volta a settimana, a volte anche una volta ogni 10 giorni, dopo aver resistito tutta l’estate ad avere l’acqua soltanto ogni 15 o 18 giorni. E il problema non è che non piove. Il problema è l’inaccettabile gestione del sistema idrico».

Non è un problema di recente formazione, potrebbero però obiettare governo e attuali amministratori locali, non crede?

«Non c’è dubbio che questa malagestione delle infrastrutture idriche dell’isola sia un problema antico, ma quello che ho visto quest’estate riguarda problemi che andavano affrontati e risolti per tempo. A Castelvetrana, in provincia di Trapani, c’è un invaso costruito decenni fa per irrigare ma mai collaudato. Ho visto vigneti che stavano morendo e alcuni che venivano estirpati, mentre l’acqua di quella diga veniva fatta defluire in mare. È assurdo che da un lato si parla di risolvere i problemi costruendo nuovi impianti e poi non si riesce a firmare un pezzo di carta o a fare i lavori minimi necessari per far collaudare le strutture già esistenti. Mentre agricoltori e allevatori sono stati ridotti allo stremo».

A fine agosto il governatore Schifani ha annunciato lo stanziamento da parte della Regione, della struttura commissariale e del ministero dell’Agricoltura di 40 milioni di euro a sostegno delle imprese agricole colpite dalla siccità: il suo giudizio?

«Una cifra totalmente insufficiente, di fronte a un intero settore che ha riportato danni per circa 3 miliardi di euro per la mancata produzione. Ma, soprattutto, il problema è che né a livello locale né a livello centrale è stata messa a punto una politica di medio termine che possa affrontare il problema tra qualche mese e poi la prossima stagione estiva. E neanche è stata nel frattempo messa in campo una politica di adattamento».

La cosa non riguarda soltanto la Sicilia, anche se per motivi opposti: in queste stesse ore in cui si parla dei danni provocati dalla siccità sull’isola, gli agricoltori dell’Emilia Romagna vedono interi raccolti distrutti dalle alluvioni provocate da ingenti piogge concentrate in ridotte finestre temporali: cos’è diventata l’Italia?

«Un hot-spot climatico, in cui si verificano con sempre maggior frequenza eventi meteo estremi. E il problema è che il governo anziché adottare misure che consentano di contrastare il riscaldamento globale, procede con esternazioni terroristiche, dicendo che la transizione ecologica comporterà misure lacrime e sangue che ci faranno diventare tutti più poveri. Mentre la verità è che a costarci caro sono proprio questi eventi meteo come le alluvioni e la siccità. Spendiamo per le emergenze e non per la prevenzione, incidendo sulla finanza pubblica e sottraendo fondi che andrebbero destinati in investimenti strategici. Se pensiamo che solo il disastro dell’anno scorso in Emilia Romagna ha provocato danni per circa 9 miliardi di euro, capiamo quanto sia vulnerabile il nostro Paese e quanto sia assurda una risposta negazionista sulla crisi climatica e sulla necessità della transizione ecologica».

Qual è il problema di fondo, secondo lei, per cui membri del governo e anche di Confindustria attaccano il Green deal e le misure necessarie per la transizione energetica?

«Le grandi società dell’energia italiana hanno realizzato profitti per decine di miliardi di euro. E questo è stato consentito dalla concentrazione della disponibilità di combustibili fossili. Le fonti di energia rinnovabile, al contrario, consentono di costruire un modello diffuso, capillare, che impedirebbe la concentrazione e consentirebbe di ridurre il prezzo dell’energia».

A parole il governo dice di voler semplificare le procedure per l’installazione di nuovi impianti eolici e solari ma l’intero settore elettricità sostiene che il Testo unico Fer aumenta le criticità burocratiche: lei prevede modifiche, ora che quel testo è all’esame del Parlamento?

«Noi daremo battaglia per migliorarlo e consentire davvero di accelerare sulle rinnovabili. Quanto alla maggioranza che sostiene il governo, mi faccio poche illusioni su come si muoverà. Ministri e parlamentari dicono di sostenere lo sviluppo delle rinnovabili, ma nei fatti la loro strategia è bloccare il processo di conversione verso l’energia pulita. E il motivo è che non vogliono che diminuisca il costo dell’energia».

Veramente dicono l’esatto contrario, e che anzi il ritorno del nucleare servirebbe proprio a questo.

«È inutile che parlino di nucleare di quarta generazione, che di fatto ancora non esiste, di terza generazione avanzata o di piccoli reattori nucleari, sui quali pure paesi che ci avevano puntato stanno rallentando o stanno rivedendo i loro piani. La verità è che nessuna impresa privata italiana oggi investirebbe tre o quattro miliardi di euro per una tecnologia che rappresenta più incognite che certezze. Il governo sta solo perdendo tempo, mentre dovrebbe consentire lo sviluppo di fonti di energia già disponibili, quelle rinnovabili».

Lei punta il dito contro il governo Meloni, però di un’amministrazione di centrosinistra come quella della Sardegna, che ha dichiarato area non idonea la maggior parte dell’isola, che dice?

«Semplicemente che non si può fare una battaglia sulla transizione e poi bloccare le rinnovabili».

E che dice dell’Emilia Romagna, per rimanere in ambito di regioni guidate dal centrosinistra, che è al primo posto per consumo di suolo in aree a rischio idrogeologico?

«Che di certo è necessaria una svolta culturale su più fronti, perché il tema della cultura del territorio taglia trasversalmente tutte le alleanze. Basta con l’idea che lo sviluppo urbanistico serva perché così aumenta il Pil, basta con piani regolatori che prevedono l’espansione anche in aree di esondazione dei corsi d’acqua».

Il cosiddetto “campo largo” appare sempre più in difficoltà su diverse scelte strategiche: pensa che sui temi dell’ambiente sia più facile costruire un’alleanza di centrosinistra?

«Al momento non direi. Mentre sulle questioni dei diritti civili e anche in parte su quelle del lavoro possono esserci degli avvicinamenti, come abbiamo visto ad esempio sul salario minimo, il tema dell’ambiente è una questione che ancora crea divisione. Penso ad esempio al fatto che esponenti di Italia viva e di Azione si sono espressi contro la legge europea sul ripristino della natura. O penso alla posizione di Calenda a favore del nucleare. Non escludo nulla, ma diciamo che sul tema dell’ambiente c’è ancora molto da costruire».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.