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Intervista al presidente di Symbola Ermete Realacci

«Sulle rinnovabili l’Italia è in grave ritardo, senza una svolta danneggiamo sia l’ambiente che l’economia nazionale»

«Il governo ha fatto bene a impugnare la moratoria della Sardegna, ma tra decreti deboli e mancanza di politiche industriali sta facendo perdere la sfida della competitività alle aziende italiane»
 |  Interviste

Dice Ermete Realacci che impugnando la moratoria della Sardegna sui nuovi impianti eolici e fotovoltaici, Palazzo Chigi ha preso una «decisione legittima e giusta». Ma, aggiunge il presidente di Symbola, «anche il governo non ha le carte in regola sulle rinnovabili».

Intervista

Si riferisce alle misure contenute nel Testo unico recentemente approvato dal Consiglio dei ministri?

«Sì, perché come ha detto più volte Elettricità futura, l’organizzazione di Confindustria che associa i produttori di energia elettrica, tutti i provvedimenti che sono stati approvati per favorire un’accelerazione sul fronte delle rinnovabili sono arrivati con grave ritardo, e non contengono soluzioni adeguate per semplificare e favorire lo sviluppo di nuovi impianti. Rispetto al passato c’è stato un cambio di rotta, ma è ancora del tutto insufficiente e ormai siamo arrivati a dover assistere a situazioni paradossali».

Ad esempio?

«In anni passati l’Olanda, che ha una superficie leggermente inferiore a quella di Sicilia e Calabria, ha installato quattro volte il fotovoltaico installato in Italia, che è notoriamente un paese ben più soleggiato».

Dice che c’è un problema di impostazione culturale, nel centrodestra?

«Di certo viene sottovalutata la questione dei mutamenti climatici. Non siamo più nella fase in cui si dice che non esistono. Ricordo che nelle legislature passate venne addirittura approvata in Senato una mozione parlamentare del centrodestra che sostanzialmente diceva questo. E Berlusconi, nel suo primo intervento alla Camera, sostenne che i mutamenti climatici non esistevano e che, se pure esistevano, gli effetti distavano da noi quanto Giulio Cesare, duemila anni. Certe fesserie le dicono oramai in pochi, però si continua sostanzialmente a sottovalutare il problema, oppure a dire che le rinnovabili sono un peso per l’economia e le imprese».

E come si risponde a chi sostiene quest’ultima cosa?

«Con i numeri. Nel 2023 i nuovi impianti per la produzione dell’energia elettrica sono stati alimentati per l’87% da fonti rinnovabili. E questi sono dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) o di Irena, l’agenzia internazionale che si occupa di coordinare i paesi impegnati sulle fonti rinnovabili, diretta peraltro da un italiano, Francesco La Camera, e che ha sede a Dubai. Il motivo è semplice: le rinnovabili fatte bene sono molto più convenienti economicamente e danno indipendenza per il futuro». 

Perché la sede a Dubai?

«I gruppi dirigenti dei paesi arabi ragionano anche sul futuro. Non pensano solo a comprare Ronaldo, ma anche a come muoversi nel mercato dell’energia al di là del petrolio e del gas. Sanno benissimo che il futuro è delle rinnovabili e quindi investono in questo settore».

Torniamo al dato che citava: cosa significa quell’87%?

«Significa che tutte le altre fonti, il carbone, il petrolio, il metano, il nucleare fanno insieme il 13% dei nuovi impianti per la produzione di energia elettrica. La direzione di marcia è chiara, non fanno parte del futuro».

Neanche il nucleare? Il governo lo ha inserito nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) e il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin lo difende a spada tratta nonostante quel che hanno deciso gli italiani con uno specifico referendum…

«Il nucleare non l’hanno affossato i referendum ma i pericoli e soprattutto il costo elevato di questa tecnologia. Di nuovo, basta guardare ai dati per capire l’indebolimento di questa fonte di energia a livello mondiale. L’energia prodotta dal nucleare nel 2022 è risultata inferiore a quella prodotta nel 2006: 2546 TWh contro 2660 TWh. Ed essendo in quei 16 anni aumentato il consumo di energia elettrica, la quota della componente nucleare è passata dal 17,5% al 9,2%».

Il futuro del mercato energetico lo decideranno soprattutto le politiche di Stati Uniti e Cina: c’è da temere una riconferma di Trump alla Casa bianca?

«Io mi auguro che non venga rieletto, non solo per motivi legati alla crisi climatica. Quello di Trump è un caso, in qualche maniera, di scuola. Quando era presidente Usa è uscito dall'Accordo di Parigi sul clima e ha adottato misure che dovevano rilanciare il carbone americano e più in generale i combustibili fossi degli Usa. Uno dei grandi slogan della vecchia campagna elettorale di Trump era, oltre al muro con il Messico, quello sul carbone americano. C’erano manifestazioni in cui Trump parlava e centinaia di persone, come accade in genere nelle campagne elettorali americane, alzavano cartelli con su scritto “Trump Digs Coal”, cioè “Trump scava carbone”.  Ma cos'è accaduto durante gli anni della presidenza Trump? Che il consumo di carbone non ha fatto altro che diminuire. Perché alla fine, gli americani sono pragmatici: anche un governatore repubblicano se sa che l’energia eolica costa meno, non compra il carbone degli Appalachi. Quindi c’è una dinamica che va in questa direzione e che fa capire che quella delle rinnovabili è una delle partite su cui si basa la competitività dei sistemi produttivi».

Anche riguardo la Cina è così ottimista, nonostante il largo consumo di carbone che ancora fa andare avanti tante sue imprese?

«L’anno scorso la Cina ha installato tanto solare fotovoltaico quanto ce n’è in tutti gli Stati uniti. E le sue emissioni di CO2 sono calate dell’1%. La Cina ha grandi problemi legati ai mutamenti climatici ma sta investendo molto sulle rinnovabili. Si sta allenando sul mercato interno, in casa, per poi giocare la partita decisiva in trasferta. E la trasferta siamo noi. Lo stesso vale per le auto elettriche. In quello che è il mercato automobilistico più grande del mondo, a maggio i veicoli elettrici o plug-in acquistati erano il 47% del totale, e a luglio hanno superato anche quella percentuale e sono stati i più venduti in assoluto. Buona parte dei veicoli elettrici costano inoltre meno dei tradizionali veicoli a combustione interna».

Che idea si è fatto del viaggio a Pechino della premier Meloni?

«Sostanzialmente, Meloni è andata lì anche per dire alle industrie cinesi: venite a produrre auto elettriche in Italia. Da questo punto di vista lo giudico positivamente, direi che è già un passo avanti per un Paese, il nostro, che, unico in Europa, ha dato incentivi anche per l’acquisto di vetture a combustione interna. Le auto elettriche non inquinano come le tradizionali e costano meno».

Lei si augura che le aziende cinesi vengano a produrre questi veicoli in Italia?

«A questo punto sì, anche se ovviamente preferirei che ci fosse un posizionamento in questo senso da parte delle aziende che storicamente sono legate all’Italia, Stellantis in primis. E il governo dovrebbe sostenere questo processo, anziché elargire incentivi per le auto tradizionali. Servono investimenti in termini di ricerca e finanziamenti mirati, altrimenti i danni per tante nostre imprese, molto legate alle subforniture per case automobilistiche straniere, soprattutto tedesche, saranno pesanti. Del resto, lo abbiamo già sperimentato quando vennero immesse sul mercato le marmitte catalitiche: in Italia la Fiat e anche i sindacati dicevano che non interessava quella nuova tecnologia. Poi è stato introdotto l’obbligo di montarle e abbiamo dovuto comprarle dai tedeschi, perché noi eravamo troppo in ritardo. Com’è oggi sulle rinnovabili. In tanti settori, peraltro, il nostro Paese può giocare un ruolo importante. Penso al recupero di materie prime, in particolare per quanto riguarda le batterie. E la pala fotovoltaica più grande del mondo, destinata al mercato estero, viene oggi costruita in uno stabilimento della Vestas, che ha 1400 dipendenti, a Taranto».

Tornando alla Sardegna: la moratoria è stata decisa dalla giunta Todde per tutelare il territorio, è stato detto. Non è una motivazione fondata?

«Tutti i processi ovviamente vanno governati. E va fatto sapendo che l’eccellenza italiana è figlia della capacità di fare quel che è necessario producendo bellezza. Una buona parte dei più bei paesaggi italiani sono segnati in maniera formidabile da esigenze produttive, insediative o di difesa militare. Rocche, borghi e castelli costruiti nei secoli hanno peggiorato o migliorato i nostri paesaggi? Alle Olimpiadi di Parigi, tutte le medaglie vinte avevano un frammento della Tour Eiffel. Quando fu costruita, la polemica fu violentissima e l’accordo finale fu che andava demolita dopo pochi anni. Qualcuno vuole avanzare questa proposta ai cittadini francesi? Ovviamente, se qualcuno proponesse di mettere pale eoliche a Piazza dei Miracoli, penserei che Basaglia ha sbagliato e che qualche manicomio andava tenuto aperto. Ma non di questo si parla. E allora, per rispondere sulla Sardegna, si può benissimo tutelare il territorio facendo di questa regione un esempio per tutta l’Europa. La Sardegna ha tutte le condizioni per diventare un campione a livello comunitario per le rinnovabili, producendo un’economia forte e nuovi posti di lavoro, avendo vento e sole e un’estensione territoriale pari alla metà dell’Olanda, per tornare all’esempio da cui eravamo partiti. Può in breve tempo diventare una regione totalmente libera dall’utilizzo di combustibili fossili. Per non parlare dell’enorme di quantità di denaro pubblico che è stata sprecata in passato per il carbone del Sulcis, un carbone di pessima qualità, senza garantire un futuro ai lavoratori che erano impegnati in quel settore». 

Le maggiori associazioni ambientaliste propongono un processo partecipato per individuare le aree idonee: cosa ne pensa?

«Va benissimo, il confronto e la partecipazione sono sempre elementi positivi, purché poi si arrivi a una decisione, perché purtroppo abbiamo già perso troppo tempo, in Sardegna come a livello nazionale. Mentre in Cina in un anno installano tanto fotovoltaico quanto ce n’è in tutti gli Usa, la Sardegna propone una moratoria di un anno e mezzo. Ormai deve essere chiaro a tutti che quella sulle rinnovabili è una partita strategica per il futuro competitivo e produttivo dell’Italia. E che non ci si può lamentare nei giorni pari delle mucillagini, del gran caldo, degli eventi meteo estremi, e poi nei giorni dispari combattere tutte le misure che servono a contrastare questi fenomeni».

Deve essere chiaro soprattutto alla politica, non crede? Evidenziava gli errori del governo Meloni, sostenuto da forze di destra, ma in Sardegna a votare la moratoria sulle rinnovabili è stata una giunta di centrosinistra.

«La politica, purtroppo, ha molte responsabilità rispetto al grave ritardo dell’Italia sulla transizione energetica e non solo. Ci sono esempi di malagestione, di cattiva amministrazione, perché alla siccità che ha colpito la Sicilia si sarebbe potuto far fronte in maniera ben diversa se fossero stati apportati gli opportuni interventi alle infrastrutture idriche. E c’è, più in generale, anche un po’ di viltà da parte della politica: ci sono delle contestazioni? Rinviamo, che è meglio, anche perché, come diceva Woody Allen, “che cosa hanno fatto per me i posteri?”. Purtroppo, però, in questa situazione c’è poco da ridere. La spinta sulle rinnovabili è non solo necessaria, non solo giusta, ma ormai è diffusa a livello mondiale. E l’Italia, se continuiamo così, finirà per restar fuori da questo processo storico, avrà perso la sfida per la competitività prima ancora di entrare in campo».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.