«Acqua, verde, materiali innovativi: così i lavori per il Giubileo renderanno Roma una città sostenibile»
«Confermo il dato», risponde Ornella Segnalini se le si ricorda che mesi fa, in commissione Giubileo, disse che a Roma il 90% dei cantieri sarebbero stati chiusi entro l’apertura dell’Anno santo. «Anzi, oggi siamo ancora più fiduciosi», aggiunge l’Assessora ai Lavori pubblici e alle infrastrutture della Capitale facendo l’elenco dei lavori in capo al suo Dipartimento.
Intervista
Sono fiduciosi anche i romani, che per ora lamentano soprattutto i disagi con cui devono fare quotidianamente i conti…
«Li capisco, ma erano decenni che a Roma non si facevano manutenzioni straordinarie. La tangenziale, solo per fare un esempio, è stata realizzata nel 1969 e da allora non è mai stata oggetto di lavori di manutenzione straordinaria, a parte le operazioni di ripittura del travone, negli anni 90. Pensi che abbiamo trovato caditoie nascoste sotto strati e strati di asfalto».
I lavori per il Giubileo mirano a rendere Roma una città più efficiente, ma sarà anche più sostenibile?
«Il punto di vista della tutela ambientale e dell’adattamento alla crisi climatica è stato costantemente tenuto in considerazione, in particolare per i progetti più importanti come piazza dei Cinquecento, piazza San Giovanni, piazza Pia, Ponte di ferro e tanti altri ancora».
Qualche esempio di come siete intervenuti, concretamente?
«Abbiamo riqualificato 500 degli 800 chilometri delle strade cittadine e incrementato i punti di verde, prevedendo misure contro le ondate di calore. Su via San Teodoro abbiamo modificato in corsa il progetto per introdurre numerosi alberi, così come pure a ridosso dell’ingresso del Foro Romano, dove è certo che si formeranno code di visitatori e quindi dovranno esserci ampie zone ombreggiate, minore asfalto e più aiuole».
Il verde, qui come anche altrove, necessita di acqua…
«E infatti abbiamo previsto, ove possibile, l’installazione di serbatoi sotto le fontanelle, i cosiddetti nasoni, da utilizzare poi per l’irrigazione dei punti verdi».
Che però saranno sempre una minima parte del suolo urbano: non c’è alternativa all’asfalto o all’utilizzo del basalto?
«In parte c’è, e lo stiamo sperimentando nel rifacimento del marciapiede di viale Mazzini. Siamo partiti dall’esigenza di non ricorrere al basalto, perché ormai sta diventando anche merce rara, e di utilizzare l’asfalto, perché dà garanzia di lunga durata e di tempi rapidi di realizzazione. Però abbiamo deciso di utilizzare un asfalto speciale, sul quale si procede con un lavoro di “arrotatura” come quello che si fa per i pavimenti domestici. Questo consente di mettere in evidenza la parte di materiale inerte, che è più chiara, facendo perdere all’asfalto quella tonalità scura che attrae i raggi solari e dà l’effetto isola di calore. Con poco impegno economico riusciamo a realizzare un’opera interessante anche dal punto di vista della crisi climatica».
Roma non è immune rispetto alle ondate di calore ma anche alle cosiddette bombe d’acqua: da questo punto di vista siete intervenuti in qualche modo?
«Certamente. Per esempio, a piazza Pia, dove abbiamo spostato un collettore consentendo una sorta di scarico che mitiga questo effetto in caso di forti piogge. Anche a San Giovanni stiamo realizzando un’opera innovativa dal punto di vista dell’adattamento alla crisi climatica. Abbiamo lavorato a una riduzione del fenomeno isola di calore immettendo acqua attraverso fontane che nebulizzano e specchi d’acqua superficiali calpestabili, il che dovrebbe consentire di rendere molto più utilizzabile questa bellissima piazza, che finora si è animata soltanto per i concerti del Primo maggio o, in alcune sue parti e neanche per tutta la sua interezza, in occasione delle funzioni religiose. Per quanto riguarda invece le bombe d’acqua, siccome la piazza è in leggera pendenza e il fenomeno allagamento è frequente, stiamo realizzando una vasca di laminazione sotterranea che raccoglie l’acqua piovana e la rilascia con tempi molto più lunghi che non se scorresse in superficie, evitando così ostruzioni e allagamenti. C’è poi il caso del Foro Italico, dove era stata realizzata una grandissima fognatura che ora noi stiamo collegando a una condotta per evitare che Ponte Milvio resti sott’acqua in caso di forti piogge. Non dimentichiamo che in quella bellissima piazza i negozi hanno le paratie, come a Venezia. Ora abbiamo messo in campo un progetto per raccogliere l’acqua piovana proveniente da Monte Mario per farla poi defluire nel Tevere. E analoghi progetti di raccolta e realizzazione di caditoie li stiamo facendo anche in aree periferiche, ovviando anche al problema, inaccettabile per la Capitale, che ci sono ancora zone della città con fognature e impianti idrici non allacciati alla rete idrica».
C’è un cantiere che era parso particolarmente critico e che oggi vi dà maggiori soddisfazioni?
«Beh, quello del Ponte dell’Industria si è subito rivelato un progetto molto difficile, perché non portava a un nuovo ponte ma, per certi versi, a un restauro che però ha finito per definire una nuova configurazione che cambia completamente il tipo di struttura».
In che senso?
«Era un ponte appeso, che ora diventa sospeso. Gli arconi rimarranno, ovviamente dopo essere stati restaurati, ma avranno soltanto una funzione estetica perché a tenere su il ponte saranno due travi reticolari come quelle di cui in origine era fatto il ponte ferroviario. Si tratta di una tecnica molto complessa, che prevede il ricorso a minipali iniettati che finiscono nel letto del fiume. Per realizzarli abbiamo coinvolto un esperto in piattaforme marine, per le quali viene utilizzata questa particolare tecnica».
In questi giorni si parla di siccità e perdite d’acqua nelle reti di distribuzione soprattutto delle città del Mezzogiorno, ma anche a Roma si può fare di più per ovviare al problema e sostituire impianti ormai vecchi, non crede? Un esempio per tutti: la rottura della conduttura, nell’autunno ’22 e poi in quello ‘23, sotto Corso Francia, che ha lasciato senz’acqua interi quartieri.
«Le perdite a Roma si sono ridotte dal 41% al 27% grazie al rifacimento dei sistemi idrici, ma vogliamo arrivare al 26% che è la media europea. A Corso Francia si rompevano le condutture perché Roma è la città dei 7 Colli…»
Cosa intende dire?
«Le vecchie condutture erano un unicum, nei punti più alti l’acqua non arrivava e in quelli più bassi arrivava con troppa forza e spaccava le tubature. Stiamo intervenendo per sostituirli con impianti adeguati».
Cioè?
«Immagini gli interruttori di un appartamento. Ogni stanza ne ha uno. Le vecchie condutture sono come un unico interruttore che accende e spegne contemporaneamente le luci di tutti gli ambienti. Se si rompe quello, tutta la casa resta al buio. Noi, con le nuove condutture, stiamo mettendo gli interruttori nelle varie stanze. Abbiamo sezionato gli impianti idrici mettendo delle valvole e controllando meglio la pressione. Con questo lavoro abbiamo ridotto le perdite e scongiurato altri casi di rotture dovute alla pressione troppo forte».
Si può dire che nessuna zona di Roma rimarrà più senza acqua?
«Questo è l’obiettivo a cui lavoriamo, perché una città come Roma, dove sono presenti tra i quattro e i cinque milioni di utenti dell’acqua, dove il turismo è cresciuto di oltre il 45% da un anno all’altro, non può permettersi situazioni di carenza idrica. Ma perché questo obiettivo sia garantito dobbiamo ancora concludere un progetto fondamentale, il raddoppio dell’acquedotto del Peschiera. Ora ha soltanto una canna idraulica e in caso di un forte terremoto, di una rottura accidentale, di un lavoro di manutenzione in emergenza, si creerebbero inevitabilmente dei problemi. Con due canne idrauliche la questione sarebbe risolta. Ci stiamo lavorando, e con un miliardo e mezzo di euro di finanziamento stiamo parlando della più grande opera idrica di tutta Europa».
A proposito di soldi: perché i cantieri per il Giubileo sono attivi soprattutto di notte, nonostante questo comporti una spesa maggiore per le casse comunali?
«Costa il 30% in più, è vero, ma se mettiamo nel bilancio quel che i cittadini risparmiano in termini di tempo, fatica, stress, ritardi, sicuramente questa decisione comporta un vantaggio. E anche dal punto di vista ambientale il vantaggio c’è: meno code significano meno motori accesi per lungo tempo e meno gas di scarico emessi nell’atmosfera».