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Tribunale internazionale del mare: le emissioni di carbonio sono inquinamento marino

Gli stati hanno l’obbligo di proteggere e ripristinare gli ecosistemi e di creare aree marine protette
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

L’International Tribunal for the Law of the Sea (ITLOS) ha emesso una sentenza che stabilisce che le emissioni di carbonio sono inquinamento marino e che gli Stati devono adottare misure per mitigarne gli effetti e che che si aggiungono a quelle contenute nell’Accordo di Parigi del 2015.  L’ITLOS ha inoltre chiarito che gli Stati hanno l’obbligo di proteggere l’ambiente marino dagli impatti dei cambiamenti climatici e dall’acidificazione degli oceani de che questo include «La progettazione di misure di mitigazione per ridurre al minimo, nella misura massima possibile, il rilascio di sostanze tossiche nell’ambiente marino e l’esercizio di una rigorosa due diligence per garantire che gli attori non statali rispettino le misure di mitigazione».

Per quanto riguarda la cooperazione internazionale, il Tribunale ha sottolineato gli obblighi degli Stati di prevenire l’inquinamento legato ai cambiamenti climatici che colpisca altri Stati e l’ambiente al di fuori della giurisdizione nazionale. Inoltre, gli obblighi degli Stati includono quello di partecipare agli sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico e assistere gli Stati in via di sviluppo, in particolare quelli vulnerabili.

Secondo gli esperti del Human Rights Council dell’Onu, «La prima sentenza del Tribunale internazionale per il diritto del mare relativa al clima fornisce indicazioni tempestive sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamento climatico e un riferimento esplicito alle questioni relative ai diritti umani».

I relatori speciali Elisa Morgera, promotion and protection of human rights in the context of climate change, Astrid Puentes, human right to a clean, healthy and sustainable environment, Marcos A. Orellana, implications for human rights of the environmentally sound management and disposal of hazardous substances and wastes, ricordano che «Nei nostri commenti scritti presentati al Tribunale, abbiamo analizzato come gli obblighi internazionali in materia di diritti umani siano applicabili alla protezione dell’ambiente marino dai cambiamenti climatici, inclusa la prevenzione di impatti sproporzionati su coloro che si trovano in situazioni vulnerabili, in particolare nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo».

Morgera, Puentes e Orellana scrivono che «Il parere del Tribunale è particolarmente rilevante per l'attuazione del diritto umano a un ambiente pulito, sano e sostenibile. In particolare, il Tribunale sottolinea gli approcci precauzionali ed ecosistemici nel contesto degli obblighi degli Stati di condurre valutazioni ambientali e socioeconomiche di qualsiasi attività che possa causare inquinamento marino legato ai cambiamenti climatici».

E gli esperti di diritti umani dell’Onu accolgono con favore gli orientamenti del parere sulla protezione della biodiversità marina: «Ad esempio, il Tribunale chiarisce gli obblighi degli Stati in materia di: adattamento e ripristino degli ecosistemi; protezione degli ecosistemi rari o fragili dal riscaldamento degli oceani, dall’innalzamento del livello del mare e dall’acidificazione degli oceani e la creazione di aree marine protette. Questi obblighi sono essenziali per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, nonché per la salute degli ecosistemi, per affrontare in modo efficace ed equo la tripla crisi planetaria che mina l’effettivo godimento dei diritti umani».

La sentenza è stata accolta con molta soddisfazione anche al summit degli Small Island Developing States (SIDS) che si è tenuto ad Antigua e Barbuda il 25 e 26 maggio. Infatti, il 12 dicembre 2022 era stata proprio la Commission of Small Island States on Climate Change and International Law a presentare una denuncia all'Itlos. rilanz<ciata poi nel settembre 2023 da un gruppo di nove Paesi del Pacifico e dei Caraibi, minacciati dall'innalzamento del livello del mare.

All’ITLOS era stato chiesto di eseminare tre domande: se le emissioni di gas serra siano da considerare inquinamento marino, quali sono gli obblighi di uno Stato nel prevenire e ridurre questo inquinamento e quali sono i suoi obblighi nel proteggere e preservare gli oceani dagli impatti dei cambiamenti climatici.
L’importante sentenza è avvenuta dopo l’audizione dei rappresentanti dei SIDS, dell’Unione europea e di diversi Paesi del mondo, compreso Stefano Zanini, Capo servizio per gli affari giuridici, del contenzioso diplomatico e dei trattati del ministero degli esteri e della cooperazione internazionale.

La conclusione della Corte è che «Le emissioni di gas serra, che riscaldano l'atmosfera e accelerano il cambiamento climatico, costituiscono una forma di inquinamento marino. Pertanto, l’obbligo legale degli Stati di proteggere e preservare l’ambiente marino ai sensi dell’ United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS) si applica anche ai principali fattori della crisi climatica, e avrebbero l’obbligo di ripristinare gli habitat e gli ecosistemi marini». La Corte ha riconosciuto la convenzione UNCLOS come una risorsa per i Paesi in via di sviluppo e vulnerabili dal punto di vista climatico, che hanno contribuito di meno al riscaldamento globale ma ne soffrono di più le conseguenze.

Sebbene il parere consultivo dell’ITLOS non sia vincolante, gli esperti Onu ritengono che potrebbe avere un impatto sulle sentenze sulle questioni climatiche di altri tribunali internazionali, regionali e nazionali.
Anche per il primo ministro di Antigua e Barbuda, Gaston Browne, «La sentenza della corte servirà da base per i futuri lavori per porre fine all'inerzia che ci ha portato sull'orlo di un disastro irreversibile».

Il Summit dei 39 Paesi SIDS ha presentato un nuovo piano d’azione per aumentare la resilienza delle loro nazioni secondo gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) adottati dall’Agenda 2030 dell’Onu e Browne ha indicato come sfide comuni «La densità delle popolazioni e la conseguente pressione sui servizi di base, la scarsità di risorse naturali, i costi delle esportazioni e delle importazioni, l’elevato debito e, in particolare, la necessità di una cooperazione globale di fronte al riscaldamento globale».

Redazione Greenreport

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