
Livelli allarmanti di microplastiche nel cervello umano, in crescita del 50% in 8 anni

Lo studio “Bioaccumulation of microplastics in decedent human brains”. pubblicato recentemente su Nature Medicine da un team di ricercatori statunitensi e colombiani guidato da Matthew Campen, Alexander Nihart, Marcus Garcia ed Eliane El Hayek dell’University of New Mexico Health Sciences (UNM), ha confermato che le microplastiche nei cervelli umani sono in concentrazioni molto più elevate rispetto ad altri organi, ma ha anche scoperto che «L'accumulo di plastica sembra crescere nel tempo, essendo aumentato del 50% solo negli ultimi 8 anni».
Campen, professore alla Facoltà di Farmacia dell'UNM, ha sottolineato che «Le concentrazioni di plastica nel cervello risultavano più elevate rispetto a quelle nel fegato o nei reni e più elevate rispetto a precedenti studi su placente e testicoli. Il tasso di accumulo rispecchia le crescenti quantità di rifiuti di plastica su questo pianeta. "Questo cambia davvero il panorama. Lo rende molto più personale. Inoltre, abbiamo osservato che gran parte della plastica sembra essere molto più piccola di quanto si pensasse in precedenza, nella scala nanometrica, circa due o tre volte le dimensioni dei virus. Questi risultati dovrebbero far scattare l'allarme. Non avrei mai immaginato che fossero così elevati. Di certo non mi sento a mio agio con così tanta plastica nel cervello, e non ho bisogno di aspettare altri 30 anni per scoprire cosa succede se le concentrazioni quadruplicano».
Inoltre, a peggiorare le cose, all’UNM fanno notare che «Il tessuto cerebrale di persone a cui era stata diagnosticata la demenza aveva fino a 10 volte più plastica nel cervello di chiunque altro. Ma mentre c'è una chiara correlazione, il design dello studio non può dimostrare se livelli più alti di plastica nel cervello abbiano causato i sintomi della demenza: potrebbero semplicemente accumularsi di più a causa del processo della malattia stessa».
Lo ricerca si basa su un nuovo metodo ideato dai ricercatori dell'UNM per specificare e quantificare le microplastiche nei tessuti, utilizzato già in precedenza per documentare le quantità di plastica nelle placente e nei testicoli umani e canini. Il nuovo studio ha analizzato campioni di tessuto cerebrale donati dal New Mexico Office of the Medical Investigator, che per legge deve conservare il tessuto delle autopsie per 7 anni prima di smaltirlo. Il tessuto cerebrale più vecchio risaliva in media al 2016 ed è stato confrontato con il tessuto del 2024. Campen spiega che «Tutti i campioni sono stati raccolti dalla corteccia frontale, la regione del cervello sopra e dietro gli occhi».
I ricercatori hanno dissolto chimicamente il tessuto, creando una specie di poltiglia, quindi l'hanno centrifugato, producendo così un piccolo pellet contenente plastica non disciolta e che è stato quindi riscaldato con la pirolisi fino a 600 gradi Celsius. I ricercatori hanno poi catturato le emissioni di gas mentre la plastica bruciava. Gli ioni derivati dai polimeri bruciati sono stati separati cromatograficamente e identificati con uno spettrometro di massa. Un procedimento che ha consentito di individuare e quantificare 12 polimeri diversi, il più comune dei quali era il polietilene, ampiamente utilizzato per imballaggi e contenitori, tra cui bottiglie e tazze.
Il team ha anche utilizzato la microscopia elettronica a trasmissione per esaminare visivamente gli stessi campioni di tessuto che presentavano alte concentrazioni di polimeri, e ha trovato «Gruppi di schegge di plastica affilate che misuravano 200 nanometri o meno, non molto più grandi dei virus. Sono abbastanza piccole da attraversare la barriera emato-encefalica».
Campen ha detto che «Non è chiaro come le particelle vengano effettivamente trasportate nel cervello. Inoltre, non è chiaro inoltre quali effetti potrebbe avere la plastica, che è considerata biologicamente inerte e utilizzata in applicazioni mediche come stent cardiaci e articolazioni artificiali. Le caratteristiche fisiche di queste particelle potrebbero essere il vero problema, anziché una qualche forma di tossicità chimica. Cominciamo a pensare che forse queste plastiche ostruiscano il flusso sanguigno nei capillari. C'è il potenziale che questi nanomateriali interferiscano con le connessioni tra gli assoni nel cervello. Potrebbero anche essere un seme per l'aggregazione di proteine coinvolte nella demenza. Semplicemente non lo sappiamo».
La maggior parte delle microplastiche presenti nel corpo umano verrebbe ingerita attraverso il cibo, in particolare la carne, perché la produzione commerciale di carne tende a concentrare la plastica nella catena alimentare. Campen spiega ancora: «Per il modo in cui irrighiamo i campi con acqua contaminata dalla plastica, postuliamo che la plastica si accumuli lì. Diamo quelle colture in pasto al nostro bestiame. Prendiamo il letame e lo rimettiamo sul campo, quindi potrebbe esserci una sorta di biomagnificazione feed-forward. Il team di ricerca ha scoperto alte concentrazioni di plastica nella carne acquistata nei supermercati».
Le microplastiche tendono ad accumularsi nelle cellule adipose nella guaina mielinica isolante del cervello, che avvolge i neuroni e aiuta a regolare la trasmissione del segnale. Questo, a sua volta, potrebbe aiutare a spiegare le concentrazioni più elevate di plastica nel cervello.
Quello che hanno scoperto gli scienziati è una specie di bomba a orologeria: dato che possono volerci decenni prima che i polimeri esistenti si decompongano in particelle microscopiche, le concentrazioni di micro e nanoplastiche nell'ambiente continueranno a crescere per molti anni a venire.
Campen, che spesso cita la massima del tossicologo, "La dose fa il veleno", conclude: «I nuovi risultati dovrebbero suscitare allarme per una minaccia globale alla salute umana. Può essere difficile motivare i consumatori, che spesso scrollano le spalle quando vengono avvertiti di contaminanti ambientali che tendono a essere misurati in parti per miliardo. Ma le nuove scoperte potrebbero finalmente attirare la loro attenzione. Devo ancora incontrare un singolo essere umano che dica: “C'è un mucchio di plastica nel mio cervello e sono totalmente a posto con questo"».
