
Trump chiude il programma di monitoraggio della qualità dell’aria nelle ambasciate Usa

Le politiche che sta mettendo in campo Trump fanno male agli americani. È stato evidenziato da più parti, per quel che riguarda i danni economici derivanti dalla decisione di mettere nuovi dazi sulle merci provenienti da Messico e Canada, a cui si andranno ad aggiungere quelli annunciati per i prodotti cinesi ed europei. Ma ci sono anche diverse misure di politica ambientale decise dal Trump 2.0 che possono comportare anche danni alla salute. L’ultima trovata del tycoon è quella di chiudere il programma globale di monitoraggio della qualità dell’aria, mettendo fine a oltre 15 anni di raccolta dati pubblici da 80 ambasciate e consolati americani sparsi in tutto il mondo.
Un cittadino americano che lo scorso dicembre si trovava a Delhi o era in procinto di partire per la città indiana, per dire, poteva contare sulle informazioni provenienti dall’ambasciata Usa per sapere se veramentel’inquinamento dell’aria fosse 35 volte i limiti fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Un americano volato a Pechino poteva decidere se fidarsi dei dati comunicati dall’ambasciata Usa o se attenersi a quelli, solitamente molto più rassicuranti, del governo cinese. E lo stesso valeva per molti altri luoghi del pianeta, da Giakarta a Buenos Aires a decine e decine di altre città di ogni continente. Questo proprio perché fino a un paio di giorni fa le ambasciate degli Stati Uniti presenti in queste città avrebbero potuto conoscere i livelli di qualità dell’aria e comunicarlo in patria. Ora non è più così. L’amministrazione Trump non ne vuole più sapere di questi monitoraggi avviati nel 2008. E che per alcune città costituivano l’unica attendibile fonte di informazione.
I dati raccolti e analizzati dal programma globale di monitoraggio, sottolinea il New York Times, per un quindicennio hanno supportato la ricerca e anche aiutato migliaia di funzionari Usa che lavorano all’estero a decidere se fosse sicuro lasciare che i propri figli giocassero all’aperto, per dire. Se bisognasse uscire con le mascherine antiparticolato. Se bisognasse installare un purificatore in casa o nei propri luoghi di lavoro. Questi monitoraggi, tra l’altro, hanno consentito di portare a miglioramenti della qualità dell’aria in paesi con alto tasso di inquinamento come la Cina. Il motivo? Il Dipartimento di Stato, riporta il quotidiano statunitense, ha affermato in una email che il programma è stato sospeso «a causa di vincoli di bilancio». Ed è difficile immaginare che spese e di che ordine si potranno risparmiare ora, considerato che l’apparecchiatura era già tutta a disposizione delle ambasciate e le comunicazioni si inserivano nei quotidiani aggiornamenti online e nell’ordinario flusso di informazioni tra le sedi diplomatiche Washington.
Ma tant’è. Si chiude così una storia, e un’opportunità, avviata nel 2008, quando i diplomatici americani di stanza a Pechino installarono monitor della qualità dell’aria sul tetto dell’ambasciata Usa e hanno poi iniziato a pubblicare dati aggiornati ogni ora riguardanti i livelli di uno dei tipi più pericolosi di inquinanti atmosferici, le minuscole particelle note come PM 2.5. È stato questo programma a permettere al mondo di sapere che il tasso di inquinamento in Cina era molto più elevato di quanto non facesse sapere il governo.
Ora, a pensar male, anche un altro governo non vuole far sapere. O, nella migliore delle ipotesi, non è interessato a sapere se e in che misura sia pericolosa per la salute umana l’aria che si respira nelle principali città del mondo.
