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Per smantellare il vecchio nucleare servono all’Italia 11,38 miliardi di euro, fine lavori nel 2052

Artizzu (Sogin): «Il piano precedente stimava un impegno di 8 miliardi di euro al 2042, ma non teneva conto di una serie di costi»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Gian Luca Artizzu, ad di Sogin, la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, è alla guida dell’unica operazione sensata sul nucleare italiano: lo smantellamento delle 4 ex centrali atomiche di Trino (VC), Caorso (PC), Latina e Garigliano (CE), nonché degli impianti legati al ciclo del combustibile nucleare – ovvero Eurex di Saluggia (VC), ITREC di Rotondella (MT), Ipu e Opec a Casaccia (RM) e FN di Bosco Marengo (AL) –, senza ovviamente dimenticare il futuribile Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi.

Quanto tempo e quante risorse serviranno? Intervenendo oggi sul giornale di Confindustria, Il Sole 24 Ore, Artizzu anticipa il nuovo piano di gestione dell’eredità nucleare italiana: l’orizzonte è al 2052, con investimenti complessivi stimati (a partire dal 1999) in 11,38 miliardi di euro (a livello europeo, la stima più recente fornita dalla Commissione Ue parla invece di 422-566 miliardi di euro).

«Il piano precedente stimava un impegno di 8 miliardi di euro al 2042 per messa in sicurezza, combustibile e smantellamento, ma non teneva conto – spiega Artizzu – di una serie di costi che abbiamo fatto emergere, oltre all’impatto dell’inflazione e delle materie prime. Soprattutto emergono i costi legati all’allungamento di dieci anni dei tempi di entrata in servizio del deposito nazionale e di alcune attività di smantellamento».

La nota più dolente è appunto il Deposito. Rappresenta l’infrastruttura necessaria a ospitare in sicurezza i rifiuti radioattivi italiani a molto bassa e bassa attività (la cui radioattività decade a valori trascurabili nell’arco di 300 anni), e a stoccare in via temporanea – in attesa di un deposito geologico ad oggi inesistente – i rifiuti a media e alta attività (il cui decadimento richiede fino a centinaia di migliaia di anni). L’elenco delle 51 aree idonee è ospitarlo è stato pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente con la Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) ormai oltre un anno fa, nel dicembre 2023, ma ancora la conclusione dell’iter si presenta come molto lunga: nessuno lo vuole ospitare, nonostante sia un’infrastruttura tanto sicura che l’analogo francese del Centre de l’Aube è collocato in una zona di produzione dello champagne. 

Al termine della procedura di Vas in corso, Sogin aggiornerà la proposta di Cnai e il relativo ordine di idoneità, rinviandola al ministero che a sua volta recepisce il parere di Isin. Con un proprio decreto, il ministero dell’Ambiente – di concerto con quello delle Infrastrutture – approverà dunque la Cnai col relativo ordine di idoneità. Di fatto il ministro dell’Ambiente, mentre progetta il rilancio del “nuovo nucleare” nel Paese, stima che il Deposito, non ancora localizzato, diventi operativo non prima del 2039. «È un timing realistico», conferma Artizzu. E anche per lo smantellamento delle centrali fermate dal referendum del 1987 servirà ancora molto tempo: «Siamo al 45% del percorso», informa l’ad di Sogin. Sempre meglio, comunque, delle progettualità per il “nuovo nucleare” italiano: nonostante la propaganda, il quadro legislativo annunciato dal ministro Pichetto sarà pronto almeno a fine 2027, ovvero dopo le prossime elezioni politiche.  

Redazione Greenreport

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