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Le nanoplastiche uccidono le cellule dei pesci

Lo studio di ENEA dimostra che bastano 30 minuti di esposizione per modificare la forma e la struttura delle cellule di orate e trote
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Le nanoparticelle di plastica sono visibili solo al microscopio e hanno dimensioni inferiori a 1000 nanometri, circa 50-100 volte più piccole del diametro di un capello ma la loro capacità di insinuarsi e distruggere le cellule di un organismo vivente, in questo caso dell’ambiente marino, non erano note fino a questo studio di ENEA

Ora sappiamo che sono in grado di provocare la morte delle cellule degli animali marini come dimostrato dallo studio condotto in collaborazione Cnr e Università della Tuscia (Viterbo) e pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment..

“I risultati ottenuti – spiega Paolo Roberto Saraceni, ricercatore del Laboratorio ENEA Biotecnologie RED e coautore dello studio, evidenziano che la salute degli ecosistemi acquatici e terrestri, con il loro relativo impatto sulla salute umana, è strettamente interconnessa e può venire drammaticamente compromessa dalla diffusione dell’inquinamento da nanoplastiche se non affrontato con la dovuta tempestività”.

La contaminazione degli ambienti marini e di acqua dolce da parte delle nanoplastiche è considerata una minaccia globale per gli organismi viventi che li popolano. La produzione di plastica nel mondo è stata di oltre 400 milioni di tonnellate nel 2022 e le stime più recenti prevedono che raddoppierà nei prossimi 20 anni fino a triplicare entro il 2060[6]. La maggior parte dei rifiuti plastici non viene gestita correttamente: solo il 9% è riciclato, il 19% incenerito e il resto finisce in discariche o siti di smaltimento non controllati. Questo contribuisce all’accumulo di plastica nell’ambiente e sono soprattutto gli ecosistemi marini a subire l’impatto maggiore: si stima che più di 171 trilioni di particelle di plastica si accumulino nell’ambiente marino, degradandosi in frammenti più piccoli: il polistirene è una delle materie plastiche non biodegradabili più comuni e contribuisce significativamente all’inquinamento plastico ambientale. Tra le più frequentemente trovate negli organismi marini, presenta una tossicità significativamente maggiore rispetto ad altri polimeri testati. La sua potenziale tossicità per gli organismi acquatici e gli ecosistemi rimane una preoccupazione e, per questo, servono ulteriori ricerche per indagare su scala più ampia gli effetti a lungo termine”, conclude Saraceni.

Redazione Greenreport

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