In 30 anni di ecomafia censito da Legambiente un reato ogni 18 minuti: sono oltre 902mila
A trent’anni dalla prima presentazione del rapporto Ecomafia avvenuta proprio il 5 dicembre del 1994, oggi Legambiente è tornata a fare il punto della situazione con dati e un pacchetto di sei proposte in occasione della conferenza nazionale "Ambiente e legalità: insieme per il futuro" che ha promosso con l’Arma dei Carabinieri, presso la Scuola Ufficiali di Roma.
Il ruolino di marcia del Cigno verde segna un reato ogni 18 minuti per un totale di 902.356 illeciti ambientali. È quello che in Italia in tre decenni hanno compiuto le ecomafie con un attacco costante e incessante all’ambiente. Parliamo di una media - dal 1992 al 2023 - di 79,7 reati al giorno, 3,3 ogni ora, con 727.771 persone denunciate e 224.485 i sequestri. Il fatturato illegale accumulato, secondo le stime di Legambiente, è stato invece di 259,8 miliardi di euro.
Il 45,7% del totale nazionale degli ecoreati in questi tre decenni si concentra nelle regioni in cui è radicata la presenza di criminalità organizzate: la Campania con 117.919 illeciti, seguita da Calabria con 84.472 illeciti, Sicilia con 82.290 e Puglia con 73.773. Al quinto posto il Lazio, prima regione del Centro Italia, con 66.650 reati. La Lombardia, ottava in classifica, è la prima regione del nord Italia con 37.794 reati.
«Senza legalità non c’è tutela ambientale – dichiara Stefano Ciafani presidente nazionale di Legambiente – Quella che celebriamo oggi insieme all’Arma dei Carabinieri non è solo una ricorrenza: in questi 30 anni, anche grazie a questa straordinaria collaborazione e a quella sviluppata con tutte le forze dell’ordine e le Capitanerie di porto sono stati raggiunti risultati importanti, nell’interesse generale del Paese, come l’introduzione nel Codice penale dei delitti contro l’ambiente e di quelli a tutela del patrimonio culturale. I dati presentati oggi ci ricordano che non bisogna abbassare la guardia e che al centro delle scelte politiche va messa la salvaguardia dell’ambiente come ci ricorda l’articolo 9 della Costituzione italiana. Per questo chiediamo che vengano approvate quelle norme che ancora mancano all’appello in fatto di prevenzione e controllo, come i reati contro gli animali, le agromafie e agropirateria, chiedendo al tempo stesso allo Stato un impegno più forte nella lotta all’abusivismo edilizio».
I reati nel ciclo illegale del cemento, che ammontano a 215.831, e quelli del ciclo dei rifiuti, 146.480, si confermano in questi tre decenni a livello nazionale quelli prediletti. Ma proprio il capitolo sui rifiuti permette di andare più a fondo sulla questione, per scoperchiare una complessità che spesso non s’immagina quando si parla di ecoreati.
Come lo stesso rapporto Ecomafia racconta nella sua analisi trentennale, il continuo quanto legittimo inasprimento delle pene da solo non basta. In proposito merita una lettura – e meriterebbe anche un aggiornamento – il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure: già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge 68/2015 sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).
Che fare dunque? L’esperienza empirica mostra che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia – a partire dal ciclo di gestione rifiuti – limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.
Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.
Nel merito il ministro dell’Ambiente Pichetto ha promesso più volte, nel corso degli ultimi anni, la volontà di riformare il Codice dell’ambiente. Una riforma che però ancora non si vede, e neanche la preliminare apertura verso esperti e società civile per gli approfondimenti del caso.